Rileggendo la nostra storia

Sono in Brasile con dom Luciano Mendes de Almeida, vescovo di Mariana (Brasile), che rappresenta un incontro pilotato da Dio; è un uomo che conta nella mia vita e con immenso stupore penso di contare anch'io nella sua. L’incontro questa volta ha uno scopo. Voglio chiedergli di scrivere la Regola del Sermig che da tempo e da più parti mi viene richiesta. Lui ascolta attentamente e prontamente mi risponde: «Eh no, la Regola la scrive il fondatore! Il Signore ha fatto a te il dono di questo carisma. Devi scriverla tu».
Sono emozionato, non so cosa sarò capace di fare, ma accetto pensando al bene che ho ricevuto ogni volta che ho accolto i suoi consigli.

Cerco la chiave del nostro cammino, delle nostre attività, della nostra fedeltà di questi anni. Non è difficile. La chiave è Gesù, l’incontro fondamentale della mia vita, il senso di tutto, sempre. Dal momento del primo incontro, la sua Parola è diventata una parola per me, una parola difficile ma non impossibile da vivere. Quando Lui dice: «Se non ritornerete come bambini», è per me e ci credo.
Quando ci insegna a pregare: «Padre nostro», credo veramente che noi tutti siamo figli di Dio e fratelli tra noi.
Quando raccomanda: «Pregate incessantemente», quell'incessantemente è diventato come il mio respiro.
O se dice: «Amate i nemici», non considero queste parole una semplice esortazione, ma un imperativo per me.

Ho capito che mi sono innamorato di Gesù. Non ho costruito sulla sabbia, ho costruito con Lui. Questa è stata la mia vita, con gli alti e i bassi, come la vita di tutti, ma il mio amore a Gesù è rimasto costante. Tutto quello che mi è venuto incontro non l’ho affrontato secondo la mia mentalità, ma secondo Gesù che avevo incontrato.
Con questa chiave ho iniziato la preghiera, la riflessione e ho lasciato liberi la mente e il cuore per scrivere questa «Regola non regola».
Regola che nasce da una storia. Siamo nati il 14 maggio del 1964, in un’epoca di violenta contestazione.

Un’epoca in cui per essere veramente cristiani occorreva rivendicare, condannare, schierarsi secondo un’ideologia. Ma noi volevamo restare «attaccati a Gesù», il Figlio di Dio che ha parole di vita eterna, Colui che dice: «I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno», Colui che rassicura: «Le forze del male non prevarranno».
Siamo rimasti attaccati a Lui per lottare contro la fame, contro le ingiustizie che causano la miseria; e soprattutto per lottare contro il peccato in tutte le sue espressioni di orgoglio e di egoismo, di odio e di violenza.
È iniziato così un cammino che ha messo in gioco noi stessi, il nostro tempo, la nostra intelligenza, i nostri beni materiali e spirituali.
Sofferenze e prove indicibili ci hanno fatto scoprire il silenzio, la forza di essere disarmati.

Abbiamo cercato di capire cosa significa amare i nemici e ci siamo accorti che, a volte, è ancora più difficile amare coloro che dovrebbero essere amici. In quel momento abbiamo sentito tutta la nostra fragilità.
Abbiamo messo il nostro essere giovani al primo posto nel progetto di vita che stava prendendo corpo, per formare noi stessi e trasformarci in comunità. Gesù è diventato il nostro Tutto, il nostro Gesù.
È nata così la voglia di essere con i giovani, per loro. E con loro per i più poveri, non solo quelli lontani, ma per i poveri di casa nostra: italiani e stranieri, carcerati e vittime della tratta, malati e anziani, rifugiati politici e senzatetto, madri sole con i loro bambini, bambini e giovani diversamente abili…
Questi amici ci hanno educato a capire che restando attaccati a Gesù, come il tralcio alla vite, nulla è impossibile.

La povertà di mezzi e di risorse nella quale ci siamo trovati con l’arrivo dell’Arsenale, il 2 agosto 1983 a Torino, ci ha fatto scoprire che la sproporzione è il terreno della Provvidenza.
E in tutto ne abbiamo sperimentato il sostegno. Nel tempo abbiamo cominciato a pensare che dovevamo dare la vita con un sì totale e senza condizioni. Con la determinazione di un maratoneta, la fiducia di un sognatore, la semplicità sorridente di un bambino.
Ci siamo ritrovati così ad essere nel seno della Chiesa una fraternità – la Fraternità della Speranza – senza abbandonare il nome delle nostre origini, Sermig, ora pieno di significato: Servizio Missionario Giovani.
In tutti questi anni Maria ci ha avvolti con la sua tenerezza.

È Lei che ci ha portati a suo figlio Gesù, Signore della nostra vita, svelandoci la paternità di Dio e la potenza dello Spirito Santo.
È Maria che ora mi guida a tracciare le linee di una Regola di vita che possa dare solidità e futuro a questa avventura, una Regola che inviti a pronunciare con gioia, proprio come Lei: «Sì, Signore ». È a Lei che dedico questa avventura, perché la protegga e l’aiuti ad essere sempre e per sempre solamente opera di Dio.

San Paolo, 6 agosto 1996
 

Commento di Rosanna Tabasso   Commento di Mons.Pollano

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