Claudio Monge, condividere la speranza

Pubblicato il 29-09-2016

di Andrea Gotico

Lunedì 26 settembre, nell’ambito degli incontri dei “I libri del dialogo”, una piccola serie di libri scelti dall’Università del Dialogo Sermig, p. Claudio Monge, domenicano, ha presentato il volume Taizé. La speranza condivisa. (EDB).
L’autore - responsabile del Centro di documentazione interreligiosa dei domenicani di Istanbul dove vive da 14 anni -nel corso del suo apprezzatissimo intervento negli spazi dell’Arsenale della pace ha spiegato che si tratta dell’edizione italiana del volume, uscito in Francia lo scorso anno in occasione di ben tre anniversari particolari per la comunità di Taizé: i cento anni dalla nascita del fondatore frère Roger Schutz, i dieci anni dalla sua morte e i settant’anni dalla sua fondazione. “Io sono entrato come permanente, erano chiamati così i ragazzi impegnati in un discernimento vocazionale, il 3 febbraio 1992, e vi ho vissuto due anni; ho potuto così conoscere bene frère Roger e la sua grandezza umana e spirituale”.

Il fondatore della fraternità monastica ecumenica che raduna fratelli di diverse parti del mondo, appartenenti originariamente a diverse Chiese di tradizione cristiana, svizzero d’origine, proveniva dalla tradizione della Riforma protestante. Era un uomo di Dio, “un contemplativo, un mistico giunto ad una tale profondità di contemplazione da diventare il riverbero del Dio che lo abitava …”. “Mi ha parlato infatti di più con il suo sguardo e il suo silenzio che con le parole. Quello sguardo non era mai giudicante, anzi, ti faceva venire il desiderio di metterti in gioco… Era lo sguardo dell’innocenza di colui che sa vedere attraverso i fatti e, per un dono di grazia, arriva a guardare l’orizzonte con lo sguardo proprio di Dio. E, al tempo stesso, era un uomo che sapeva pazientare e aspettare che gli altri arrivassero a vedere le stesse cose con quello stesso sguardo”.

E grazie a questo sguardo aveva in un certo senso previsto, durante il Concilio dei Giovani del 1987 a Parigi, la caduta del muro di Berlino. Il Concilio era stata una sua idea, mutuata dalla constatazione che “i giovani, forze del futuro, non sono interpellati nello sguardo nuovo della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, e allora dobbiamo provocarli e coinvolgerli in un Concilio che sia loro… Sì, un pugno di giovani motivati dalla fede e dall’amore può cambiare il proprio quartiere, la propria città, il mondo!”. Ebbene, in questo raduno egli disse che il tempo era ormai maturo perché alcuni muri cadessero. Cosa che puntualmente avvenne due anni dopo. Era un uomo di riconciliazione, un anelito forse nato e alimentato proprio dall’epoca storica e dal luogo stesso in cui Taizé era situata negli anni ‘40, al confine tra la Francia occupata e la Francia libera, dove si riversavano i fuggiaschi dalla guerra.

L’assenza di riconciliazione è una mancanza dolorosamente ancora attuale, sottolinea poi p. Claudio: al cuore di un’Europa lacerata non più dalla guerra ma dalle divisioni e dalla xenofobia “dobbiamo essere capaci di costruire parabole di comunione, comunione che diventi poi senza tanti discorsi testimonianza cristiana. “Quello che ci divide è l’accessorio, non l’essenziale” aggiunge, riferendosi anche all’impegno ecumenico, “non possiamo essere divisi, perché Cristo non si può né possedere né dividere. Cristo appartiene ad ogni uomo”. E, a costo di restare da soli – frère Roger lo è stato a lungo, non tutti lo avevano compreso -, dobbiamo “accettare di abitare la solitudine per costruire parabole di comunione”.

“Penso che sia una sconfitta per l’Europa il fatto che dopo neanche trent’anni di muri ne ha costruiti molti e altrettanti ne sta costruendo… E’ come entrata in un buco nero da cui potrà uscire soltanto mettendosi in un’ottica di obbedienza, nel senso proprio della parola ob-audire, cioè mettersi in ascolto delle intuizioni, delle provocazioni che le arrivano dal resto del mondo. E in questo la Chiesa cattolica ha avuto la grazia di avere come guida un papa che giunge appunto “dalla fine del mondo”.

A proposito di provocazioni, inevitabile la domanda: “Dove va la Turchia oggi, anche alla luce degli eventi recenti?”. Padre Claudio non ha dubbi: “La Turchia è il frutto della non politica dell’Europa, che non ha capito nulla di questo Paese che da tanti anni abito e studio e cerco di capire. La Turchia é un crocevia straordinario di energie e di cultura, una piattaforma-laboratorio tra nord e sud, un ponte culturale, politico, storico che ha vissuto per secoli la diversità come una ricchezza e che ora è a rischio di polverizzazione…”.

Un orizzonte desolato, allora? Ogni speranza di un futuro migliore per i troppi che pagano sulla propria pelle gli egoismi e le chiusure dovute ad egoismo ed avidità di tanti non esiste più? Sembrerebbe di sì, ma: “quello che non è stato può ancora essere” conclude Ernesto Olivero. “Io ho ascoltato tanti anni fa le parole di frère Roger e mi sono sentito mandato: un pugno di giovani può cambiare il mondo. Ci ho provato, con me ci hanno creduto tanti giovani. E qualche risultato lo abbiamo ottenuto”.

Forse non è lontano il tempo che l’Europa vedrà cadere qualche altro muro… Crediamoci. E condividiamo la speranza.

Guarda il video completo dell'incontro

 foto: Andrea Gotico / NP

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