Mysterium Crucis: Amati, amiamo [2]

Pubblicato il 16-10-2015

di Redazione Sermig

NELLA BOTTEGA DEL VASAIO
Seconda parte della monografia Mysterium Crucis*.
L'autore intervista Chiara della Fraternità del Sermig, curatrice del laboratorio di icone, che ha disegnato e progettato la croce.


Ciao Chiara, mesi fa ti avevo parlato di questa intervista sulla “croce che portiamo al collo”. Ci vediamo dopo aver già incontrato Ernesto. Pensando a te che hai realizzato concretamente la croce, le domande saranno un po’ diverse. In conclusione, ti chiederei di farci visitare da vicino il tuo laboratorio e poter illustrare con alcune immagini il work in progress della croce, fino al suo stadio finale.

La prima sperimentazione con plastilina.In ogni cosa c’è un inizio. Da dove è cominciato per te il progetto della croce, ce lo puoi raccontare?
È iniziato quando Ernesto mi ha detto: «Prova a pensare ad una croce per noi, che sia il segno della nostra Fraternità, che metta insieme quello che c’è scritto nella Regola». Lui voleva una croce che fosse un segno di resurrezione. Mi ricordo che all'inizio mi diceva: «Vorrei che ci fosse il bianco e il rosso, come nella “croce dei dolori del mondo”, il segno della morte e della risurrezione». Poi, essendo diventata una croce tridimensionale, non abbiamo messo i colori ma il significato: morte e risurrezione. E ancora: «Una croce che poi porteremo al collo, che abbia la presenza della Madonna e che porti le parole: amati, amiamo». Le cose all'inizio c’erano già tutte e gli elementi me li aveva dati lui. Ernesto aveva cercato anche al di fuori dell’Arsenale qualcuno che ci aiutasse e ogni artista metteva un po’ del suo, ma in realtà non c’era qualcuno che “obbedisse” alla sua idea, che ci andasse dietro al cento per cento.

C’era già la pagina che parla della croce all'interno della Regola?
Quando siamo partiti, no. L’abbiamo scritta quando ormai la strada era tracciata: avevamo il disegno anche se non ancora, il modello in metallo. Tutto ciò dopo il 2009.

Una volta che ti è stato affidato questo compito, inizialmente, su cosa ti sei concentrata? Tu inizialmente, all'interno dei tuoi studi, avevi già fatto un approfondimento sulla croce, che qui non troviamo, ma che in realtà c’è in te come percorso.
Avevo fatto una tesina sul simbolo della croce, cercando i significati che la croce ha assunto nel tempo, da simboli più antichi del cristianesimo. Per esempio la svastica ha origini orientali; le varie croci indiane, le varie filosofie… In quasi tutte le civiltà vissute prima di Cristo, la croce essendo un “incrocio”, ha avuto il significato di “mettere insieme”, unire il verticale con l’orizzontale, unire il cielo con la terra. Quando questa croce diventava uncinata o rotondeggiante, dava questo senso di infinito. Quindi, Dio era presente attraverso questo simbolo, aveva sempre avuto questo significato.

Fasi della lavorazione del prototipo in cera da scultore, e studi del materiale e della colorazione.Croce e crocifisso: noi tante volte li utilizziamo indistintamente per indicare la stessa cosa. Per esempio, la nostra è una croce ma anche un crocifisso. Tra croce e crocifisso che differenza c’è?
La croce è un simbolo, mentre il crocifisso è una persona. Io penso che Gesù, anziché decapitato, lapidato o soffocato, sia salito su una croce perché quella croce sarebbe diventata poi un simbolo. Il crocifisso è Gesù e la nostra croce riprende questa unione del cielo con la terra. Gesù si è messo lì, in quella congiunzione. Tutto quello che Gesù ha fatto, come nelle parabole, nell'eucarestia, lo ha compiuto, ma allo stesso tempo ha aggiunto un significato più profondo; talmente ricco da diventare simbolo, segno della sua presenza se pensiamo ai sacramenti. Lui è morto in croce: non ha fatto niente per caso. Mentre offriva il suo corpo e il suo sangue in un dolore infinito, intanto era nel centro della storia tra la terra e il cielo, c’era lui, si è messo in mezzo.

Evoluzione del disegno (la Madonna in piedi)Quindi tu avevi un tuo background, Ernesto ti ha dato gli elementi che volevate fossero sulla croce. Ma c’è un episodio, una storia magari, o una croce, che ti hanno ispirata per la realizzazione di questa croce?
Quando Ernesto mi ha dato l’idea e degli elementi, io in realtà dovevo formulare il pensiero prima in bi-dimensione (come una pittura, un disegno) e poi in tridimensione (es. una scultura). Avevo ricevuto degli elementi che erano molto bidimensionali (il bianco, il rosso, la scritta sopra e sotto, con Gesù e la Madonna). Visto così, poteva essere un dipinto, ma noi avevamo poi bisogno di un oggetto concreto tridimensionale, possibilmente non troppo vistoso, perché mettere uno smalto rosso e bianco diventava una scelta molto forte. Quindi, io dovevo tradurre questi elementi in un codice tridimensionale. E doveva esserci Gesù morto e risorto. È lì che mi è venuta in mente la Sindone in una lezione a scuola all'Accademia, dove parlavamo di arte contemporanea. La Sindone mi ha sempre affascinato perché è un’impronta, è un’immagine che Gesù ha lasciato in un telo bidimensionale. Era un concetto che mi interessava. Nelle icone, la Sindone si rappresenta come un bozzolo vuoto. Nel vangelo di Giovanni c’è scritto «vide e credette» (Gv 20,8). Quando Giovanni e san Pietro entrano nel sepolcro cosa vedono? Vedono i teli e capiscono che Gesù è risorto, capiscono che è successo qualcosa di straordinario. Quindi la Sindone è una testimone della risurrezione, la traccia di un evento straordinario, della risurrezione e del corpo di Gesù. Ora, mi piaceva l’idea di trasporre questo concetto nelle tre dimensioni. La traccia è un’impronta. Quindi la croce diventa quasi una cosa molle, in cui il corpo di Gesù si è impresso. Non potevo farlo con un tratto, perché piccola, perché di metallo, perché volevamo che avesse un colore unico…E quindi la trasposizione nella tridimensione è un’impronta, come se il corpo si fosse immerso dentro la croce. Mi ricordo che avevo fatto delle foto per rappresentare il corpo, che alla fine è diventato un segno molto sintetico.

Primo esemplare realizzato in argento.In quanto tempo è stata realizzata la croce? Ci puoi raccontare le tappe?
Ci sono voluti sette, otto anni. Ma per il momento clou, un anno. Per un po’ di tempo (quattro, cinque anni), abbiamo fatto pochissimo, c’era giusto un’idea. In quel tempo, Ernesto mi diceva: «Ci pensi e intanto fai il resto». Ogni tanto facevo degli schizzi, che in realtà era giocare coi rapporti tra la figura di Gesù e la figura della Madonna, dove scrivevo “amati, amiamo”. Quando sono stata in Giordania, ci lavoravo con il gesso. Dovevo fare un modellino alto 20x15cm, ma si rompeva in continuazione. In quel periodo sono nati un po’ di modellini. L’idea io ce l’avevo già: l’avevo vista di metallo chiaro, il colore della risurrezione, già piccola perché le dimensioni le avevo fatte, però non riuscivo a realizzarla. Finché un orafo, quando gli disse che volevo farla plasmabile, mi consigliò di provare con la cera dei dentisti, la cera degli scultori. Sono andata alla nostra Scuola di restauro dove mi hanno dato delle placchette di cera e mentre ci lavoravo e pasticciavo con le mani, mi è venuto l’ultima idea, che univa l’ultimo elemento di Ernesto. Questa croce doveva riprendere non solo il dolore di Gesù, ma anche il dolore di altre croci come quelle ritrovate in Giordania, doveva riprendere il dolore di persone schiave, torturate per qualunque motivo, quindi il dolore della gente, dell’uomo, dell’essere umano, crocifisso in mille modi diversi. Quando mi sono ritrovata a far questa croce con le mani - perché noi a volte pensiamo anche con le mani, mi son chiesta: «Come lo faccio? Liscio, preciso, lindo, faccio le forme del corpo di Gesù perfette, la Madonna precisa… o no?». E mentre lavoravo, mi accorgevo che comunicava di più, se avesse avuto una forma un po’ plasmata. Non avevo grandi strumenti e ho pensato che se la croce avesse avuto una superficie grezza, tormentata e un po’ scalfita, avrebbe reso bene il pensiero di Ernesto. Mentre lavoravo, pregavo tantissimo e ho saputo che lo facevano anche tanti di noi della Fraternità. Io ho sempre sentito che si trattava di un lavoro di tutti, di comunione. Nei lavori artistici, è difficile che l’autore senta mille pareri; bisogna avere un’idea, portare avanti la “logica artistica comunicativa”, che sintetizzi tutto. Però è il prima, è l’energia spirituale per farlo che è importante: questa è la comunione, sentirsi in pace, sentire che il lavoro non è mio, è per tutti, è di tutti e deve parlare al cuore.

Quindi ricapitolando le tappe sono state: la prima, il disegno prendendo spunto da una di quelle croci giordane (una delle più fattibili), poi lo studio delle proporzioni e con la sintesi del disegno, pensare in tre dimensioni: la traccia della risurrezione e la Madonna, pensata dritta in piedi, accovacciata, prostrata dal dolore davanti al figlio. Abbiamo accolto una indicazione di madre Annamaria Canopi che ci disse che la Madonna sta in piedi, perché partecipa da “in piedi”, da pronta, è un essere presente attivo. Poi è venuta la fase dei vari modellini, in cera. E alla fine siamo andati da un orafo, poi da un altro a Valenza (amico del padre di una di noi), che ha realizzato le ultime croci senza il minimo sforzo. Adesso abbiamo un prototipo e da quello, realizziamo le croci.

Esemplare definitivo.Dunque pensando alla “croce che portiamo al collo”, ci puoi descrivere gli elementi che la compongono?
È una croce che rappresenta il dolore di Gesù, ma anche dell’uomo. Poi l’impronta di Gesù, la traccia della sua morte e della sua risurrezione (un po’ come la Sindone). E la Madonna, che gli è stata vicino fino in fondo. Infine c’è la scritta “amati, amiamo”, dietro la croce, proprio perché è tridimensionale. La parola “Amati” è scritta in stampatello maiuscolo con un carattere geometrico perfetto. È un “amati” preciso, perfetto, forte, deciso: è l’amore di Dio che non sbaglia verso di noi, è sicuro. La risposta nostra è un “amiamo”, è in carattere minuscolo, che volevamo scrivere quasi in manuale, come la scrittura di un bambino. Sempre su consiglio della madre Canopi, abbiamo scelto il minuscolo per dare il senso anche della dignità dell’uomo: la risposta umana piccola e minuscola, ma di grande profondità. E poi piccolissimo c’è “Sermig”, perché è la croce della nostra Fraternità che ci identifica, nata in questa Fraternità e in questa storia, in fondo è l’unico simbolo esteriore che ci identifica come Fraternità.

Quale materiale è stato scelto e perché?
Abbiamo scelto il metallo perché è un pezzo unico, è un materiale resistente, è un metallo, un materiale nobile che non si rompe, non si distrugge, come ad esempio il legno che si consuma, si brucia. Ci piaceva anche il legno ma si consuma, poi è un intervento talmente delicato, che nel legno non si vede. Il metallo invece è lucente, riflette.

Ho voluto intitolare questa sezione “Nella bottega del vasaio”, pensando al vasaio che crea, inventa, disfa, ricomincia da capo… credo sia un po’ così anche per te. Qual è stata per te la difficoltà maggiore? E il momento più difficile?
Difficoltà maggiore e momento difficile in realtà vanno insieme e non è stato un momento, ma un periodo. Io la croce la vedevo finita fin da subito, da quando mi è venuta l’idea dell’impronta. Ma non riuscivo a concretizzarla e non si aprivano strade per farlo. Poi con il trascorrere del tempo, mentre facevo le icone, ce l’ho fatta. Ecco, questo periodo è durato un po’ di anni.

Ora che questa croce c’è, nel senso che esiste, che la portiamo al collo, cosa ti piacerebbe che comunicasse alle gente che la vede?
È una cosa che fa parte della nostra storia. Io ho cercato di seguire un’intuizione, di non metterci troppo del mio se non l’essenziale, dopo di che una volta che è fatta, non mi appartiene più, mi appartiene come appartiene a te, come appartiene a tutti noi. Quindi non ho più un “vorrei io”, un “che cosa vorrei”, è la nostra Fraternità che gli dà un significato, che è quello della testimonianza: come teniamo sul cuore la croce, teniamo nel cuore Nostro Signore e le sofferenze degli uomini.

Che cosa rappresenta per te questa croce?
Per me, averci messo le mani è stato bello, perché il Signore si è affidato, mi ha dato un compito e poi mi ha aiutato a farlo. Quindi è la relazione con Lui. Io ringrazio per quello, perché ha usato questo talento, queste mani che poi sono sempre sue.

Che cosa hai imparato da questa esperienza, da questo vissuto?
Una cosa è che “quando è il tempo, è il tempo”, cioè quando arriva il tempo per una cosa, le cose si sbloccano. È il Signore che sblocca, disincastra; all'improvviso una cosa che sembrava impossibile, in un attimo avviene. Questa è la cosa che mi porto dentro.

Alessandro Rossi

*Mysterium Crucis: Amati, amiamo [1]

 

 

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