Rassegna stampa - 50 anni del Sermig

Pubblicato il 02-06-2014

di Redazione Sermig

Ognuno ha l’età dei suoi sogni

1 giugno 2014 - di Aurelio Molè
cittanuova.it


Cinquant’anni fa nasceva il Sermig fondato in Piemonte da Ernesto Olivero. Il loro sogno, condiviso da molti giovani è sconfiggere la fame con opere di giustizia e di sviluppo. Un primo bilancio

Sermig
Era il 24 maggio del 1964. Nasceva il Sermig fondato da Ernesto Olivero. «Erano anni di contestazione ‒ ricorda Olivero ‒ nei quali era quasi d’obbligo schierarsi politicamente. La nostra scelta era stare sempre dalla parte di Gesù». Il nome Sermig significa servizio missionario giovani. Sin dall’inizio la scelta è stata di schierarsi verso i più poveri del Sud del mondo. Di origini salernitane e padre piemontese, Ernesto Olivero, vive sulla sua pelle la fatica di un trasferimento da Mercato San Severino a Chieri, in provincia di Torino. L’obiettivo che più lo attraeva era «dar da mangiare ai poveri». È un sogno condiviso con molti: sconfiggere la fame con opere di giustizia e di sviluppo, vivere la solidarietà verso i più poveri e dare una speciale attenzione ai giovani cercando insieme a loro le vie della pace. In 50 sono nati più di 3 mila i progetti di solidarietà nei cinque continenti. È un sogno che continua, che fa restare sempre giovani perché « ognuno ha l’età dei suoi sogni».

Quali sono stati i momenti più tristi di questi 50 anni?
«Nei momenti tristi abbiamo sempre avuto l’istinto, grazie a Dio e non per merito nostro, di trasformare i problemi in opportunità. Penso a quando, ancora piccolo gruppo, fummo mandati via dalla sede che ci ospitava con una lettera, se posso dire, indecente, ingiusta. Sentii che Dio ci stava parlando e chiesi ai miei amici, che con fatica mi ascoltarono, un mese di silenzio. Al termine di quel mese, proprio grazie a quell’ingiustizia, nacque l’amicizia con il card. Michele Pellegrino che ci diede come sede la chiesa dell’arcivescovado. Il Sermig in un certo senso è nato da un’ingiustizia, ma benedetta ingiustizia!».

Nella vostra storia siete stati anche calunniati?
«Un giorno il card. Saldarini mi chiamò a tu per tu e mi disse: “Qualcuno – e mi fece anche il nome – dice che Ernesto Olivero con il Sermig non ha mai debiti perché la mafia lo aiuta”. Una calunnia infinita! Poco tempo dopo ne parlai con Madre Teresa e lei mi disse: “Non ti preoccupare, Ernesto, ognuno ragiona in base al marciume che ha dentro”. Noi non abbiamo mai reagito. Abbiamo pianto, naturalmente, abbiamo sofferto. Ma la sofferenza, se offerta e non subita, può portare frutto e i frutti che ne derivano non sono nostri, sono di Dio. Abbiamo sempre avuto questa convinzione: che la neve copre tante cose ma quando la neve si scioglie viene alla luce tutto. Quando la neve si scioglierà, si scoprirà che dalle mani del Sermig sono transitati miliardi senza una lira sporca, senza una lira di cui vergognarsi».

Quali, invece, sono stati i momenti più gioiosi di questi 50 anni?
«I momenti più gioiosi sono stati gli incontri con tante persone sante. Il card. Pellegrino, che ci riconobbe quando noi non sapevamo ancora chi eravamo. Frère Roger di Taizé, che ripose una grande fiducia nel nostro piccolo gruppo e ci insegnò che “lotta e contemplazione hanno una sola e medesima sorgente: il Cristo che è amore”. Dom Helder Camara, che l’8 dicembre ’86, festa dell’Immacolata, mi scrisse una lettera da Firenze: “La Madonna mi dice di dirti…”. Il nome forse più caro è Dom Luciano Mendes de Almeida, presidente della conferenza episcopale del Brasile, che ci ha inviato in Medio Oriente e poi ci ha voluti in Brasile. E ancora, la grande amicizia con Giovanni Paolo II, che mi ha fatto il dono di ricevermi 77 volte, l’incontro con Paolo VI e Giorgio La Pira…Questi nomi conosciuti però non devono confondere. Ci sono stati moltissimi incontri con casalinghe, cassaintegrati, poveri che hanno avuto per noi la stessa importanza profetica di quelli che ho citato. Persone semplici che ci hanno sempre sorretto: se questa gente comune smettesse di aiutarci, in pochi giorni il Sermig chiuderebbe».

di Aurelio Molè - cittanuova.it


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Fabrizio Assandri
avvenire.it


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