Giorgio La Pira, il profeta che ha insegnato a “sperare contro ogni speranza”.

Pubblicato il 08-11-2020

di Redazione Sermig

Il futuro è oggi

Il profeta parte dal presente,
lo scruta, lo critica,
ma come momento
di un progetto più ampio
che distende le sue sponde
sul passato remoto
e sull'avvenire più lontano,
non per lasciarlo ai margini,
per limitarsi a denunciarne la precarietà,
bensì per metterlo in moto,
per destarne la potenzialità
e svilupparne gli impliciti frutti,
per lanciarlo verso le mete finali
della storia e oltre la storia.

Giorgio La Pira

 

In questi giorni moltissimi hanno ricordato un grande profeta dei nostri tempi, Giorgio La Pira, sindaco di Firenze negli anni ’50-’70. Un politico innamorato di Dio, nato a Pozzallo, in provincia di Ragusa, il 4 gennaio 1904, muore a Firenze il 5 novembre 1977. Anche per il Sermig è stato amico e maestro. Nel 1967, a causa della “guerra dei sei giorni” tra Israele e Palestina, il mondo sembrava sull’orlo di un nuovo conflitto. Ernesto Olivero racconta: «In quel periodo per la prima volta sentii parlare di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, la sola voce che si alzava forte e chiara a favore del dialogo e della pace. Le sue idee mi affascinarono: si rifacevano all’annuncio di pace del profeta Isaia, la trasformazione delle armi in strumenti di lavoro. Non so perché, ma pensai che prima o poi il Signore mi avrebbe usato per qualcosa del genere. Sedici anni dopo sarebbe iniziata la trasformazione dell’ex arsenale militare di Torino in Arsenale della Pace, oggi sede del Sermig. Andai a trovare La Pira a Firenze. La sua persona, la sua convinzione che le tre grandi religioni figlie di Abramo potessero incontrarsi pacificamente mi colpirono molto. Fu per me un grande esempio e mi incoraggiò a proseguire sulla via della pace».
L’amicizia con La Pira continuò negli anni attraverso la Fondazione a lui intitolata di cui fu per anni presidente Fioretta Mazzei, sua segretaria e collaboratrice. Alla Fondazione il Sermig ha assegnato il premio annuale “Artigiano di pace”.

La Pira era convinto che la profezia di Isaia, secondo cui un giorno «un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra», prima o poi si sarebbe realizzata. Il fine giurista donato alla cosa pubblica non era un utopista, sapeva che l’obiettivo del disarmo universale si poteva raggiungere, ma una condizione: doveva passare dalla promozione umana. “Lavorare per la pace del mondo è tanto essenziale per tutti. Che fare altrimenti? Il punto storico in cui siamo è ogni giorno più questo: non c’è alternativa al sogno dei popoli alla sopravvivenza”, ci scriveva. Come sindaco, lottò per impedire il licenziamento di duemila operai delle officine Pignone, poi della “Galileo” e della “Cure”. Aprì  una  Centrale del Latte per i bambini poveri, requisì alloggi per darli agli sfrattati. Non fece sconti a nessuno, e a don Sturzo che gli consigliava la prudenza,  rispose: “Cosa deve fare un sindaco di fronte a 10.000 disoccupati, 3.000 sfrattati, 17.000 libretti di povertà: può lavarsene le mani?”.

Con la collaborazione dell’on. Nicola Pistelli, Firenze venne dotata di un numero di scuole tale da ritardare di almeno vent’anni la crisi dell’edilizia scolastica in città. Convinto che il dialogo sia il mezzo ideale per costruire con successo ponti di pace, inventò i “Colloqui del Mediterraneo” aperti ad israeliani e arabi. Interviene al Soviet di Mosca, vola in Vietnam da Ho Chi Min, scrive ai potenti del mondo: «Con l'atomica, l'umanità cammina sul crinale apocalittico della storia» indicando l'urgenza di «imboccare i sentieri della pace» ...  Tutta la sua azione però parte dal rapporto con Dio: le prime ore del mattino lo trovano in meditazione, prega continuamente il rosario che ha in tasca, frequenta quotidianamente la Messa. Per lui la preghiera è un ponte: i piccoli fatti della vita di ognuno sono in stretto colloquio con il cielo, e allora possiamo «sperare contro ogni speranza», sicuri che é Dio che guida la storia, ideale nave, verso un porto sicuro. Fede e carità unite: «voglio una città in cui ci sia un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per pensare (la scuola) e un posto per guarire (l’ospedale)».


Caro Olivero,
rispondo 4 mesi dopo! Mi perdoni?
Ed ecco la risposta: - sì, al “disarmo di Isaia” non c’è alternativa: l’ARA PACIS (come fu al tempo di Augusto) costituisce oggi – e sempre più – il senso unico della storia: costituisce la Nuova Frontiera che Kennedy vide, e che Giovanni XXIII indicò per primo nel 1958 (in certo senso) alla intiera famiglia dei popoli!
Trasformare in piani economici (per i popoli in via di sviluppo) le spese militari: 300 miliardi di dollari annui!
Solo così si potrà risolvere il “peso della crescita demografica (7 miliardi di uomini fra 20 anni)” e si potrà immettere nel circolo storico l’immenso apporto di talenti che Dio dona agli uomini!
Grazie per quello che fate.
Fraternamente

La Pira
16/3/74

 

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