Dove le storie cominciano

Pubblicato il 29-07-2020

di Redazione Sermig

“Le case di detto borgo sono irregolarmente costrutte,

avente però una larga contrada in mezzo,

ed in serpeggiante forma”.  G. Grossi, Torino 1791.

 

 

La zona in cui si colloca e sta crescendo l’“Arsenale della Pace” è una delle più tipiche di Torino, ma forse meno profondamente conosciute. È un luogo che, probabilmente, con caratteristiche non troppo diverse, si ritrova anche in altre città.

Nel tempo, ha vissuto, ha subito, molte trasformazioni; si può ben dire che qui molte “storie” collegate in vario modo anche se profondamente diverse tra di loro, hanno avuto origine e hanno contribuito a modellare, in un modo o nell’altro, il volto della città. Storie “urbanistiche”, “militari”, “industriali”, ma in fondo e soprattutto, storie umane.

 

 

Il “Borgo del pallone”

Il Borgo Dora si è sempre situato all’esterno della cinta muraria cittadina, ad una certa distanza. Fin dall’epoca post- romana, si vennero ad insediare qui, un’area vicina al torrente Dora, ma fertile e non, come altre, paludosa, famiglie contadine, poco legate alla vita della città. Nei campi per il gioco del “pallone a bracciale”, già assai praticato a Torino in epoca romana, ha probabilmente origine il nome di “Borgo del pallone” (in dialetto, il celeberrimo Balon); quando inizierà il mercato di straccivendoli e rigattieri, ancora oggi ben attivo, vi si aggiungerà il nomignolo di “Strassborg”: ironia e sarcasmo per accettare una povertà sovente assai dura. In epoca medioevale, iniziarono qui ad essere riorganizzati o scavati via via, un reticolo di canali, alimentati dalle acque della Dora. Saranno la principale, specifica fonte di vita del borgo, fornendo fino a un secolo fa, l’unica efficiente fonte di energia allora conosciuta: quella idraulica.

 

 

La “Fabbrica delle Polveri”

La zona tra piazza Borgo Dora e via S. Pietro in Vincoli era anticamente chiamata “regione delle rezighe”, in quanto sin dal XV secolo occupata da segherie alimentate dai canali. Nel 1580, però, Emanuele Filiberto, mentre iniziava le produzioni in proprio di artiglierie, per non dipendere dall’estero circa la fornitura della polvere da sparo, decise di trasformare parte delle seghe per legname in “peste per far polvere”. Le prime peste furono fabbricate nel 1588, e date in appalto a privati sotto la direzione dell’Azienda d’Artiglieria. Nasceva così la “Fabbrica delle polveri e raffineria dei nitri”, come era chiamata allora, che in seguito venne ampliata a più riprese, nel 1673 e nel 1717 (le macine diverranno azionate da cavalli). Nel 1728 fu affittata dal Comune all’Intendenza Generale d’Artiglieria, Fabbriche e fortificazioni, ed ulteriormente ampliata per ordine di Carlo Emanuele III che, nel 1767, vista la convenienza di gestire direttamente lo stabilimento, acquistò gli edifici della polveriera. Nel complesso, l’industria militare (l’Arsenale, fabbrica delle artiglierie, nell’angolo sud –ovest della città vicino alla Cittadella, e il Polverificio/Raffineria) era la grande azienda cittadina. Lavorava per un esercito piuttosto numeroso, su cui il Ducato prima e il Regno di Sardegna poi tanto fondò le sue fortune, dedicandovi quindi un vasto spazio nel bilancio dello stato. A quel tempo, come purtroppo in parte anche oggi, l’arte militare era pertanto all’avanguardia dell’evoluzione tecnologica. In particolare, mentre in altre regioni altre attività meno complesse, come le tessiture, traineranno lo sviluppo industriale, qui, sarà questo l’embrione della industria metalmeccanica, non tanto creando un “indotto” (nessuna lavorazione veniva subappaltata) quanto una mentalità e conoscenze tecniche tra le maestranze addette.

 

 

Cresce il Borgo

Lo stabilimento fu ampliato ancora una volta su progetto del colonnello Quaglia, e la Raffineria dei Nitri fu collegata col Polverificio in un unico complesso architettonico. Un ultimo ampliamento si ebbe ancora con Vittorio Emanuele I. Ma con l’andar degli anni si era anche estesa, e disordinatamente, la zona abitata. Dalle poche centinaia di abitanti in casupole sparse ed orti del primo 700, alle più di ventimila di metà 800; tre quarti dei quali all’epoca si calcolava vivessero in condizioni di assoluta miseria, in queste abitazioni perlopiù malsane, nelle viuzze diventate strette allorché le case venivano sopraelevate di un secondo o un terzo piano, per avere spazi per i vecchi abitanti che crescevano o per i nuovi arrivati che si inurbavano. Non a caso, in questa che era già un’“area a rischio”, stimolate dai bisogni della gente, prenderanno vita le grandi iniziative del Cottolengo e di Don Bosco.

La Polveriera costituiva ormai un pericolo. Lo dimostrò la terribile esplosione del 1852: per una autocombustione esplosero 24 tonnellate di polvere; 24 furono i morti e, oltre a molti capannoni, vennero distrutte le case più vicine e danneggiati anche il Cottolengo e il cimitero di via S. Pietro in Vincoli. In quella circostanza si distinse per prontezza e coraggio il sergente furiere Paolo sacchi che, mettendo a repentaglio la propria vita, cercò di scongiurare lo scoppio del magazzino principale (altre 44 tonnellate di polvere), buttandosi tra le fiamme nel nome della Madonna Consolata al cui santuario poi, scampato il pericolo, si recò in pellegrinaggio con gli addetti alla fabbrica. Narra la cronaca – leggenda che, non trovando egli altro recipiente prima dell’arrivo di secchie e pompe, si fosse servito per attingere acqua del cappello di don Giovanni bosco, subito accorso tra i tanti a dare aiuto. Per l’atto di eroismo fu decorato con medaglia d’oro e, privilegio rarissimo, si trovò a passeggiare nella nuova via, accanto la stazione, che la città gli aveva intitolato.

 

 

L’Arsenale a Borgo Dora

Conseguenza della tragedia fu il trasferimento, peraltro già da tempo progettato, della Fabbrica delle Polveri in altro luogo fuori città, mentre negli stabilimenti di Borgo Dora furono trasportate la maggior parte delle lavorazioni dell’Arsenale di Torino. La costruzione dell’Arsenale di Borgo Dora con la denominazione ufficiale di “Arsenale delle costruzioni di Artiglieria di Torino” fu sanzionata da Vittorio Emanuele II con decreto del marzo 1862 e sorse nell’area già occupata dalla Regia fabbrica di polveri e Raffineria dei nitri. A dirigere l’Arsenale era un colonnello, mentre, come nel passato, le maestranze – tecnici e operai – erano in massima parte civili. Accanto alle lavorazioni tradizionali fu iniziata la produzione di manufatti di selleria e di someggio, che divenne una delle attività tipiche dello stabilimento. Nel 1891 fu annesso all’Arsenale con funzione di magazzino anche l’edificio adiacente, sulle rive del fiume, già mercato delle bovine e poi mattatoio comunale per alcuni anni. L’Arsenale comprendeva ormai una superficie di 45.000 metri quadri con decine di fabbricati dove, nel periodo di massima attività, trovarono lavoro più di 5.000 operai impegnati nella costruzione di armamenti pesanti e leggeri. A cavallo di inizio secolo, veniva completato il passaggio all’energia elettrica come forza motrice; uno dopo l’altro i canali, malsani e pericolosi, venivano coperti, ed ora si possono vedere solamente nei vecchi archivi fotografici.

Le punte più elevate di produzione ad opera dell’Arsenale, si ebbero ovviamente durante le guerre: quelle coloniali dell’Eritrea (1896) e di Libia (1911), nella guerra del 15-18 e nella II Guerra Mondiale, durante la quale fu danneggiato dai bombardamenti del 1942. nella liberazione fu occupato dai partigiani, e nel dopoguerra riprese in pieno la sua attività produttiva, per cadere poi in disuso: simbolo non solo di una tecnologia che si evolve, ma vogliamo sperare anche di un’epoca nuova, in cui gli uomini possano essere più liberi di servire nella pace il proprio Paese. Non è dunque questo un “posto qualunque”. Ultima in ordine di tempo, inizia per molti qui un’altra storia ancora: quella dell’immigrazione. Prima, molto consistente, dall’Italia del Sud, e poi più recentemente, meno consistente ma incisiva, quella dal Nord Africa. Il noto mercato del Balon, per molti oggi è la ricerca dell’oggetto curioso, dell’attimo di “poesia” di fronte ad un passato – difficile -  che riaffiora in un oggetto oggi impensabile…. Ma per molti di coloro che lo frequentano, dai due lati dei modesti banchetti, è tuttora la ricerca di soddisfare, in qualche modo, le necessità minime. Ancora una volta, questa zona urbana difficile, nonostante alcuni interventi di riordino urbanistico, per molti è la prima “casa”, magari l’unica in prospettiva. Ed è qui che molti problemi, molte contraddizioni, molte tensioni, microdelinquenza (e non solo), si manifestano ed entrano nel comune quotidiano che, spesso, è più disagio che folclore. Trovarsi qui non è un caso.

 

 

Bibliografia:

  • “Il Regio Arsenale di Torino nel ‘700: lavoro e tecnica”;
  • D. Rebaudengo: “Un saluto da Torino”, Della valle;
  • C. Bianchi: “Porta Palazzo e il Balon”, Piemonte in bancarella. 

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