L’amore più grande

Pubblicato il 18-04-2015

di Ernesto Olivero

Dal 19 aprile al 24 giugno a Torino, la Sindone sarà esposta alla venerazione dei fedeli di tutto il mondo 

L’Uomo della Sindone, annullato, distrutto, sfigurato dai tormenti patiti, non è lontano o estraneo alla mia vita. Il suo volto, che raccoglie in sé tutte le ingiustizie che un uomo può patire, mi mette di fronte all’esperienza più difficile dell’essere uomini: il momento della sofferenza e della morte. Nello stesso tempo quel volto mi restituisce la speranza. Mi rende quasi “visibile” la Parola che, dall’Antico al Nuovo Testamento, annuncia il servo sofferente di Jahvè, l’uomo dei dolori, Gesù Cristo torturato e crocifisso, morto e poi risorto. Il Figlio dell’uomo è il testimone credibile che la sconfitta non è mai una sconfitta totale e non ha l’ultima parola. Noi non siamo degli sconfitti perché Lui non lo è stato; possiamo soffrire e la sofferenza fa parte dell’esistenza, ma non dobbiamo mai identificarci col fallimento: nemmeno chi vive esperienze terribili, nemmeno chi si trova a finire la propria vita calpestato, in un modo che non ha senso.

Quel volto, sofferente ma non sconfitto, pacificato e assorto in Dio, mi rimanda a me stesso. Mi guarda e mi chiede in modo forte di essere in tutto come Lui: pacificato con me stesso, con i miei fratelli e con il Padre, per essere pacificatore, umile per ascoltare i gemiti di chi soffre, puro per cogliere la bellezza della vita, solidale per condividere con gli altri i doni ricevuti, mite per costruire dignità, capace di perdono per dare speranza e portare alla libertà, deciso con un sì, totale e senza condizioni ad aderire a Lui e a costruire con Lui il Regno.

Ritrovo nell'Uomo della Sindone il “già e non ancora” che caratterizza tutta la nostra vita, soprattutto la vita dei giovani. Loro, che vivono tra le rovine di principi accantonati dagli adulti, tra migliaia di compagni morti di niente e per niente, si trovano continuamente a scegliere tra la vita e la morte, tra il senso e il non senso, tra il vero e il falso, tra le grandi aspirazioni e il crollo di tanti valori morali. Sono sensibili ma fragili, si pongono domande ma non si danno il tempo di trovare risposte, hanno grandi aspirazioni ma vogliono concretizzarle subito, parlano di amore ma non vogliono il sacrificio... E spesso non hanno guide, non hanno testimoni cui riferirsi, non hanno maestri credibili.

Come vorrei che questi giovani trovassero nel volto della Sindone il simbolo della loro stessa esistenza: dubbi e speranza, mai l’uno senza l’altro, proprio come nella vita di tutti. Nessuno più di Gesù provoca interrogativi e nello stesso tempo suscita risposte che danno speranza.
Come vorrei che dallo sguardo prolungato con il Cristo molti giovani ritrovassero il senso del loro esistere e trovassero la forza di mettere in atto tutte le proprie potenzialità. Ci sono certamente tra loro nuovi "santi" di cui c’è bisogno per portare all'umanità la sapienza e la grande misericordia del Signore.

Ernesto Olivero

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