La grande gita

Pubblicato il 04-04-2018

di Arsenale della Piazza


Due anni fa al Sermig conobbi suor Gabriela.
Mi avevano parlato di questa donna, dicendomi che dall’Italia si era spostata in Romania per aiutare i ragazzi di strada di Baia Mare.
Rimasi particolarmente colpita.
Un mercoledì di quell’anno  suor Gabriela venne all’Arsenale e raccontò  ad un gruppo di ragazzi, di cui facevo parte, ciò che faceva in Romania, ci raccontò dei bambini che usavano la colla come droga per non sentire la fame e il freddo, dei bambini che non avevano un posto dove dormire e che molto spesso pur di guadagnare qualche soldo si prostituivano oppure lavoravano nella criminalità.
Rimasi scioccata
Quella sera decisi che prima o poi sarei andata a Baia Mare ad incontrare e aiutare quei ragazzi.
Era un sogno a cui non volevo rinunciare.
Un anno dopo sono entrata in un collegio internazionale a Duino che promuove molti valori tra cui quelli in mezzo ai quali sono cresciuta al Sermig: il rispetto, l’educazione,il volersi bene, la pace e l’amore per la diversità.
Mi ricordo ancora quando un lunedì in un’assemblea al collegio un professore ci parlò della Project Week, una settimana in cui abbiamo la possibilità di andare in un paese europeo per fare portare in giro i nostri ideali, valori e per fare un po’ di servizio.
Mi venne un brivido, ero felice.
Avrei potuto rendere realtà quel sogno che due anni fa iniziai a coltivare, potevo andare in Romania.
La sera stessa ne ho parlato con la mia compagna di stanza, e insieme ad un amico giapponese abbiamo organizzato la grande gita.

Il mio gruppo era composto da 13 ragazzi oltre a me:

- Lotta dalla Finlandia
- Takuto dal Giappone
- Poorva dall’India
- Camilla dalla Danimarca
- Avery dagli Stati Uniti
- Benjamin dal Ghana
- Josè dal Messico
- Maria dalla Spagna
- Katarina dalla Slovacchia
- Noela dalla Croazia
- Tessa dalle Isole Barbados
-  Mara dal Montenegro

Siamo partiti da Trieste venerdì 2 marzo e siamo arrivati a Baia Mare sabato sera. Un viaggio interminabile.
Appena arrivati è venuto a prenderci dalla stazione Padre Albano, un grande amico del Sermig che ci ha subito accolti a casa sua. Lui è una delle persone che difficilmente dimenticherò.
Eravamo stanchi quella sera quindi siamo andati a dormire.
Il giorno dopo Padre Albano ci aveva detto che alle 11 ci sarebbe stata la messa ungherese. Siamo andati in quattro.
E’ stato bellissimo perché appena Padre Albano mi aveva presentata a Padre Henri dicendogli che ero musulmana questo mi aveva sorriso e baciato la testa. Non mi sarei aspettata un’accoglienza di questo tipo, sono rimasta ancora molto colpita quando Padre Albano durante la messa, sotto richiesta di Padre Henri, ci aveva presentati al resto delle persone, e una signora è venuta da me e mi ha detto: “Sei la benvenuta nella nostra Chiesa, anche se non sei cristiana”.
Rimasi colpita, mi sentii bene.
Durante la messa siamo stati riempiti da regali, ci hanno dato delle cartoline, delle rose di candela e delle palline colorate da mangiare. E’ stato stupendo vedere che le persone non erano spaventate o sdegnate nell’averci nella loro chiesa, eravamo in quattro e tra noi c’era solo una cristiana.
Non si sono fatti nessun problema, ci hanno accolti tutti allo stesso modo, ci hanno sorriso e ringraziato tutti.
Subito dopo la messa siamo tornati a casa perché dovevamo spostarci in centrale per il pranzo, erano circa le 12.30.
La centrale è il posto in cui viene fatta l’accoglienza e dove vengono svolte la maggior parte delle attività con i ragazzi.
E’ un posto molto accogliente, all’ingresso esterno c’è un grande container del quale all’inizio non capivo la funzione,  era grande ed era messo lì, poi girando a destra c’era la porta di una grande casa.
Appena si entra c’è una sorta di mini-corridoio con sulla destra qualche divano, andando dritto invece ci si ritrova in cucina la quale è collegata con il salone principale da una finestra senza vetri.
Prima della cucina sulla destra ci sono delle scale che portano alle stanze in cui i ragazzi dormono, ci sono anche i bagni sotto.
La domenica sera era in programma l’incontro con i ragazzi.
Ero in ansia. Non sapevo cosa aspettarmi, mi era stato detto che ci sarebbero stati ragazzi la quale età va dagli 8 fino ad arrivare a ragazzi la quale età supera i 30.
Non avevo mai vissuto un’esperienza di quel tipo prima per cui non sapevo neanche cosa immaginarmi, ho passato la domenica pomeriggio a pensare.
Alle 17.00 i ragazzi erano già arrivati in centrale, noi eravamo ancora in centro a visitare un po’ la città.
Li abbiamo raggiunti mezz’ora dopo, già da fuori si sentiva la musica. Siamo entrati ed erano tutti nel salone a ballare.
Ero un po’ intimidita, non sapevo se entrare nel salone e ballare con loro oppure stare ferma con la schiena attaccata al muro a guardarli. C’ho pensato, non ero lì per osservare.
Sono entrata e ho chiesto al primo bambino che ho incontrato come si chiamasse: “Care-i numele tău?”, ”Medalion” mi ha risposto.
Mi sono divertita tanto quella sera, ho incontrato diverse persone, c’erano tanti ragazzi, tante ragazze e tanti altri che preferivano fare entrambi.
Non avevo mai visto un transsessuale prima, è stato strano.. strano ma bello.
Ho parlato con una/o di loro, Joanina. Lei stava sempre con noi in cucina, in realtà era un lui, ma nel momento in cui ci parlavo, mi sfuggiva completamente di mente il fatto che fosse trans perché era talmente simpatica e gentile, che reputavo meno importante il come apparisse. Lei era felice, forse non quanto penso si meriterebbe di essere, ma per lei quello era stare bene, e io ero contenta.
Abbiamo servito da mangiare ai ragazzi, erano molto affamati. Arrivavano a mangiare anche tre o quattro piatti a testa.
Appena abbiamo finito di servirli, loro sono andati via, c’era chi era salito su a dormire e chi invece era uscito dalla casa. Lo staff era invece rimasto giù a mangiare insieme e poi a pulire.
Siamo tornati a casa alle 21.00, alcuni di noi erano rimasti in giro, io ero stanca.
Quella sera ero un po’ mentalmente scossa, mi sembrava di aver visto un mondo di cui non ne conoscevo l’esistenza prima.
Non penso di aver mai tenuto gli occhi tanto aperti quanto avevo fatto quella settimana. Non volevo perdermi un secondo di quello che potevo vivere.
Il giorno dopo, lunedì abbiamo lavorato con suor Gabriela nella scuola di alfabetizzazione.
La lezione si teneva all’interno del container di cui all’inizio non capivo il ruolo. Era molto carino all’interno, una grande lavagna, tanti disegni attaccati al muro, dei tavolini e delle piccole sedie.
Mi ricordo ancora che quel giorno un bambino, Alex, mi era passato affianco e mi aveva tirato i capelli ridendo. C’ero rimasta un po’ male ad essere onesta. Suor Gabriela si avvicinò in seguito e mi disse che si era appena drogato.
Abbiamo disegnato quel giorno con i bambini, mentre nel frattempo suor Gabriela stava con alcuni di loro e li faceva fare dei calcoli matematici.
Quel lunedì ho conosciuto Sandu, un bambino di 10 anni credo che già a guardarlo si capiva che faceva uso di colla molto frequentemente, sapeva anche di essa.
Sul momento sembrava essere molto aggressivo, ma subito dopo che gli ho proposto di colorare insieme si è tranquillizzato. E’ stato uno dei bambini con cui ho legato di più in quella settimana.
La sera del giorno dopo ho parlato anche con Alex.
Era rimasto colpito quando aveva visto Camilla suonare la cup song per cui mi ero proposta di insegnargliela.
Nel giro di un’ora l’aveva imparata, era contentissimo, l’avrà suonata almeno 5 volte consecutive, mi ha abbracciata e mi ha urlato "multumesc" mentre saliva le scale. Prego gli ho detto.
E’ stato incredibile vedere come per quanto questi bambini siano in difficoltà, per quanto siano poveri e affamati, continuino ad essere bambini, come continuino ad essere persone che hanno voglia di giocare, persone a cui piace imparare a fare anche solo un po’ di musica con un bicchiere.
Da quella sera Alex ha cominciato a ringraziarmi ogni volta che gli mettevo il piatto a tavola, ad abbracciarmi ogni volta che gli andava e a battermi il cinque quando qualcosa gli riusciva.
Prima di parlare con suor Gabriela pensavo che Alex avesse 8 anni, era piccolo fisicamente, sembrava grasso dalle giacche enormi che si metteva, poi aveva sulla testa un cappellino verde, degli occhi anch’essi verdi e un sorriso riempito da dei denti rovinati.
Scoprii successivamente che Alex aveva 13 anni. Suor Gabriela mi disse che la colla gli aveva bloccato la crescita e che la mancanza di cibo non aiutava.
Rimasi a bocca aperta.
E’ stato incredibile vedere gli effetti che questa colla ha sui bambini.
Mi ha fatta arrabbiare il tutto.
Non mi capacitavo del come tutto questo potesse effettivamente essere vero, non accettavo il fatto che i bambini non conoscessero realtà diverse da quelle che vivevano.
Ho pensato diverse volte ai bambini dell’Arsenale della Piazza e di come erano diversamente uguali ai bambini di Baia Mare.
Stessa età, stessi gusti, stessa voglia di giocare, di ridere e di essere bambini, ma una differenza enorme nelle realtà in cui entrambi vivono.
Non volevo crederci, siamo davvero fortunati.
Durante tutta la settimana, dalle 12.00 alle 13.00 mangiavamo tutti insieme con i bimbi, mentre alcuni di noi aiutavano Ernesto in cucina, altri cercavano di parlare gesticolando con i bambini, altri ancora cantavano con loro, io cercavo di imparare a usare il kandama, un gioco in legno che quasi tutti i bambini avevano.
Subito dopo pranzo ci spostavamo nel container per fare scuola e quella era la parte che mi piaceva di più, c’erano all’incirca 20 bambini ogni giorno. Disegnavamo e coloravamo, un giorno abbiamo fatto dei braccialetti con le perline, poi abbiamo giocato con il pongo. Alcuni se lo sono messi in tasca e se ne sono andati, altri hanno chiesto se potevano prenderselo, era già qualcosa.
Due volte a settimana ai ragazzi viene offerta la pizza da una signora che la cucinava e gliela portava, ogni venerdì c’è un volontario di una grande azienda italiana in Romania che si è preso l’impegno di cucinare e portare la cena ai ragazzi di strada in centrale.
Il bene c’è, anche in Romania.
La sera invece c’era sempre un po’ di intrattenimento e poi la cena. Quello penso sia stato il momento in cui ho interagito di più con i ragazzi più grandi. Ho conosciuto Florin, un uomo praticamente, che è stato in Italia, per cui molto spesso mi aiutava a capire quello che gli altri cercavano di dirmi.
Ho conosciuto anche entrambi gli Abel, entrambi persone bellissime, poi Angel, un ragazzo che ogni volta che suor Gabriela gli ritirava la colla prima di farlo entrare in casa se ne andava a piangere seduto in un angolo lamentandosi del fatto che l’aveva appena comprata e che era ancora piena per essere buttata.
Ho incontrato Alexander, Ionut, Rada, Claudia, Kalin, Arthur, Damian, Andrei e tante altre persone, ognuna bella a modo suo.
Suor Gabriela ci ha portati a Craica un pomeriggio.
Craica è un quartiere di Baia Mare dimenticato dalla città, ci vivono quasi 200 famiglie in condizioni di povertà assurde. Una sfilza di baracche tirate su a forza con ciò che si aveva, nei due lati di una ferrovia abbandonata da anni.
Le case sono degli spazi piccolissimi, con molto spesso un solo letto sporco.
I bambini piccoli giravano attorno a noi con delle scarpe giganti per i loro piccoli piedi, scarpe che alla fine più che proteggerli rendevano più facile l’accesso all’acqua della neve sciolta mischiata al fango e alla terra, nei piedi dei bambini.
Gli abbiamo dato le caramelle, ci seguivano e ce ne chiedevano altre. Sandu ha voluto mostrarmi casa sua, sembrava orgoglioso di avere una casa, il come fosse non era un problema, l’importante era che ci fosse.
Molti dei bambini che ho conosciuto vengono da Craica.
L’ultimo giorno a scuola abbiamo pitturato le facce dei bambini, volevano diventare tutti quanti spiderman.
Si sono aggiunti dopo anche altri ragazzi che non avevamo mai visto prima, eravamo tantissimi, tutti ci chiedevano in rumeno di colorarli la faccia e le mie uniche risposte erano da (si), astate (aspetta), rosu galbe albastro negro (rosso giallo blu nero). E’ stato una giornata incredibile, eravamo tutti lì, in quel cortile, tanta gente che veniva da chissà dove, tanti bambini che correvano per strada, tanta felicità e allegria perché noi eravamo lì, lì per loro.
E’ stata un’esperienza incredibile, indimenticabile e unica.
Ho visto cose che non credevo esistessero realmente, ho parlato con delle bambine che per quanto piccole fossero, vivevano in condizioni nelle quali anche un adulto farebbe fatica a stare, ma loro sorridevano.
Avevano una forza inquantificabile dentro.
Erano tantissimi, fortissimi e il fatto di poter essere lì, con loro per una settimana mi ha fatto sentire davvero grande, ho sentito che la mia presenza lì per quanto fosse una piccolezza per me, in realtà era davvero importante per i loro.
Ho realizzato quanto in realtà grandi siano per qualcuno le nostre piccole azioni.
Io in Romania non ho fatto grandi cose, ho solo vissuto con i ragazzi, ho fatto quello che facevano loro, ho ballato la loro musica, cantato le loro canzoni, giocato con i loro giochi e mangiato il loro cibo.
Ho capito che c’era bisogno di quello, e quello ho fatto.
Ero contenta mentre lo facevo, perché sentivo che io stavo facendo del bene a qualcuno  ed è proprio quando capisci che anche tu vali, inizi a guardare oltre.
Inizi a convincerti del fatto che anche solo la tua presenza in mezzo a dei ragazzi di strada è importante.
Impari che non c’è bisogno di milioni per rendere felici le persone, basta un po’ di compagnia, un pranzo assieme, un po' di musica suonata con un bicchiere, dell’energia e tanto, tanto amore da condividere.
Realizzi finalmente che anche tu, nel tuo piccolo sei grande, e che al mondo la tua grandezza serve, per quanto a te sembri piccola.

Fatima El Maliani

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