Innocenti

Pubblicato il 08-10-2022

di Stefano Caredda

Prima si sono fatti 18 mesi di custodia cautelare, poi il processo li ha tutti assolti per non aver commesso il fatto. È durata sette anni l’avventura giudiziaria – o bisognerebbe dire l’odissea – di quattro cittadini eritrei che nel 2015 furono accusati di associazione a delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver aiutato dei loro connazionali a Roma. La Corte di Cassazione, nelle scorse settimane, con una sentenza ha sancito definitivamente la loro innocenza, che più volte era stata urlata e reclamata non solo dai diretti interessati.

Il contesto è quello dello sgombero, a Roma, nel maggio 2015, della baraccopoli di Ponte Mammolo, un insediamento informale in cui vivevano persone provenienti da diversi Paesi, fra cui eritrei, ucraini, sudamericani. Un luogo, conosciuto come “il Borghetto”, che qualche mese prima era salito agli onori delle cronache per una visita inaspettata di papa Francesco. Quel posto fatto di baracche, che era diventato la casa di molti, era anche un luogo di rifugio per tanti transitanti che passavano da Roma e lì facevano una breve sosta con l’obiettivo di raggiungere poi le altre città del nord Europa.

Secondo l’accusa, quella del Borghetto era la cellula di una rete internazionale, che agiva a scopo di lucro, con compiti e ruoli definiti e una precisa catena di comando, operando dall’Africa fino in Italia sfruttando la pelle dei migranti: un’accusa rivelatasi poi inconsistente nel corso dei vari gradi del processo.
Per 4 eritrei era rimasta in piedi l’imputazione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma si è ora appurato che in effetti le condotte che venivano rimproverate avevano a che fare con l’aiuto e l’ospitalità fra amici e connazionali, e non con il traffico di esseri umani.

Uno era stato arrestato in flagranza di reato mentre comprava un biglietto del pullman che avrebbe portato il fratello e alcuni suoi amici da Roma fino in Germania; altri avevano offerto aiuto e accoglienza per qualche giorno ad alcuni connazionali appena sbarcati; un altro era stato contattato da un amico per aiutare la figlia. In pratica, gesti di amicizia e solidarietà, non reati. Sempre nelle scorse settimane, con un decreto di archiviazione della procura di Trapani, sono cadute anche le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina contro don Mosè Zerai, il sacerdote eritreo impegnato per anni nell’aiuto ai profughi. Imputazioni, quelle che gli erano state rivolte, tanto infamanti quanto infondate.

Teniamoci cara una consapevolezza: negli anni che abbiamo immediatamente alle spalle è successo purtroppo molte volte che si siano colpiti non i realitrafficanti, ma le semplici reti di solidarietà umana. È successo che si sono commessi molti errori di valutazione, è successo che una distorta comunicazione, di natura anche ideologica e politica, ha soffiato sul fuoco della contrapposizione a prescindere. È stata una brutta pagina della nostra storia civile. Oggi l’argomento non sembra più centrale nel dibattito pubblico come lo era appena tre o cinque anni fa, ma i risvolti profondi di quel pensare non sono ancora totalmente estranei agli animi della gente. La speranza è che sentenze e decisioni ci aiutino a ripensare, per bene, a ciò che è stato.


Stefano Caredda
NP giugno / luglio 2022

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