Il rumore del silenzio

Pubblicato il 21-07-2023

di Roberto Cristaudo

Ho capito subito che qualcosa non stava funzionando, c'era un'anomalia nella solita routine. Sono morto il 18 giugno 2020, finalmente morto.
Ero arrivato il 18 settembre 2012 in quella che tutti intorno a me chiamavano la casa di riposo, e per me era solo l'ospizio. Avevo 84 anni.

Ho capito subito che c'era qualcosa di strano, perché qui le giornate, precedenti a quell'evento, passavano lente e tutte uguali.
Il tempo era scandito per lo più dall'avvicendarsi dei pasti, anche loro tutti uguali. La colazione alle 6:30, il pranzo alle 11:30, la cena alle 18:30.
Anche una piccola variazione, in questa monotonia, si nota. Cosa vi stavo raccontando?

Ah ecco, perdonatemi ma la memoria va e viene, anche adesso. Dicevo che ho capito subito che qualcosa era successo perché la cena era stata servita alle 20:30 che di solito quella era l'ora della camomilla. Poi nei giorni successivi sono comparse le mascherine e sono scomparse le visite dei parenti. Che poi, Maurizio e Gisella, figli miei cari, io le vostre visite, a dire il vero, non le ho mai sopportate. Sempre veloci, di circostanza, voi due mai insieme, una domenica uno, una domenica l'altro.
Voi a fare sempre le solite domande, e io a darvi sempre le solite risposte.
«Come stai?» «Tiro avanti». «Mangi?» «Sì». «Dormi?» «Poco».
E mentre vi rispondevo, i vostri occhi erano già posati sul telefono e i miei indaffarati a vagare per la stanza in cerca di un posto qualunque dove posarsi. Poi avete avuto quella scusa per non venire più e guardarvi il telefono in santa pace a casa vostra che qui dicevate sempre: «Non c'è campo, non prende bene» e io mi dispiacevo, pensando fosse colpa mia, ma non ve l'ho mai detto.
Poi, quando sono morto avete iniziato a dire quelle altre cose. «Non ce lo fanno vedere!» «Dio mio, è morto da solo, senza un abbraccio» Ma, sinceramente, durante le vostre visite non ricordo mi abbiate mai abbracciato, e poi sono morto alle 2:34 del mattino e non ci sareste comunque stati vicino a me.
Da quando è arrivato il Covid, qui nell'ospizio, le giornate sono diventate una diversa dall'altra, non mangiamo più sempre alla stessa ora, e poi c'è un sacco di movimento.
Un giorno sono venuti anche il sindaco e il presidente della Regione a farci visita.

Un altro giorno è arrivato l'esercito russo, che ora sono i cattivi e all'epoca erano i buoni, per disinfettare, ci hanno detto. Erano vestiti come degli astronauti. Ci spostavano da una stanza all'altra, tutti e ci dedicavano tempo, per la prima volta, dopo tanti anni, ho di nuovo avuto la sensazione di esistere, anche i telegiornali parlavano di noi, ci chiamavano i nonnini delle RSA.
Mi ricordo che quel giorno, con l'esercito, c'era anche un fotografo che, mi pareva un po' imbranato a dire il vero. Lo osservavo con curiosità perché fotografava tutto, i fiori appassiti sul davanzale, le mie ciabatte consumate dal tempo, la minestrina avanzata nel piatto; ha fotografato anche Caterina che veniva spostata sulla sua sedia a rotelle da due infermieri.
Cose a caso, che qui ci sono sempre state, sono sempre accadute.
Ora che me ne sono andato, tutti i miei oggetti li hanno presi e messi in un sacco, li hanno buttati via.
Le cartoline che mi avevate spedito dal mare, i miei disegni, i quaderni con le poesie che avevo scritto per voi, mi è dispiaciuto di questo, non di morire. Il giorno del funerale ci hanno portato via con i camion militari, c'era anche Caterina che era morta il giorno prima di me.
Un funerale importante. Siamo andati via in silenzio, diventando una storia che ancora fa rumore.
 

Roberto Cristaudo
NP aprile 2023

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