Felicità

Pubblicato il 24-09-2020

di Cesare Falletti

In mezzo a tante notizie dei giornali di cui non si riesce a capire il significato, ci sono talvolta degli articoli che colpiscono l’intelligenza e la fanno partire verso l’elaborazione di un pensiero che nutre il cuore.
Sfogliando un giornale mi sono imbattuto in una frase di un filosofo contemporaneo che si esprime su un tema che mi è molto caro e di cui sento sempre più l’urgenza: «Provate a eliminare dalla vostra coscienza e dalla narrazione della vostra esistenza l’idea di gratuità, e non riuscirete più neanche a sostenere l’idea di poter essere felici».

La ricerca della felicità è un dovere umano, ma è tale se è scelta della vera felicità, di ciò che non è semplicemente un benessere superficiale e passeggero.
La felicità non è questione di un momento, ma uno stato della vita: nella Bibbia si trova l’espressione «cuore dilatato», che mi sembra descrivere bene la felicità: un cuore che respira liberamente, che non fa chiasso, che non è stretto né compresso da desideri meschini, da ansie dovute all’avidità, da paure suscitate dall’odio. La gratuità è libera da tutto questo: non elude né nasconde le difficoltà della vita, né quelle delle relazioni, ma permette al cuore di respirare liberamente, di dare senza pretendere, di amare senza calcolo, cioè di vivere le più belle cose della vita senza vederle sciupate in sentimenti che degradano la bellezza della creatura umana.

Ai bambini si insegna a dire “grazie”, ma forse si dimentica di insegnar loro l’importanza di riconoscere da quanta gratuità ciascuno di noi è circondato e anche di scoprire quanto la gratuità rende belli i rapporti umani; li rende veri. Senza dei rapporti umani veri è inutile cercare la felicità. Nella frase citata si parla di eliminare dalla coscienza e quindi di perdere il senso di reciproca dipendenza e di giustizia: sia per quanto dobbiamo dare che di quanto che riceviamo. Senza la gratuità degli altri non possiamo vivere: tutto sarebbe permeato da aggressività e pretesa. Senza essere noi stessi capaci di gratuità diventiamo sterili, macchine che producono, ma il cui cuore, cioè l’organo che dà senso e gioia, si secca e diventa terra arida, senza vita.

Si parla anche di narrazione della nostra esistenza: non è questione di raccontarsi, ma di conservare il ricordo del bene ricevuto e la coscienza che siamo stati oggetto di molta gratuità, anche se la nostra vita ha avuto delle difficoltà, delle grandi difficoltà e se le ferite si sono accumulate in tutto il nostro essere. Fare uno sforzo per ricordare il bene ricevuto è la prima ed essenziale cura contro il malessere dell’esistenza. Non si può essere felici se non si cede al riconoscimento della gratuità ricevuta e non si fa crollare il muro che crediamo ci difenda, ma in verità ci soffoca. Cedere ha il sapore di perdere, ed effettivamente nel clima della gratuità l’impressione di perdere, sia nel dare che nel ricordare, è sempre grande, ma se non sappiamo perdere non saremo mai vincitori, contro l’infelicità della vita.

È proprio nella luce della felicità, che Dio vuole darci come dote della creatura che siamo, che hanno significato le parole del Signore che attestano che per trovare la propria vita bisogna perderla.
Il rischio di credere che queste parole vogliono incitarci a meritare con la rinuncia e la sofferenza la vita felice è una insidia pericolosa. Perdiamo il senso della gratuità di Dio, che è somma, infinita e assoluta gratuità. Le Parole di Gesù sono un insegnamento per farci conoscere il Padre, e solo conoscendolo e riconoscendo la totale gratuità della sua bontà, cioè della Misericordia, possiamo somigliargli anche nella felicità, che Dio non può mai perdere perché Dio è Amore.

Cesare Falletti
NP giugno / luglio 2020

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