Un'altra storia

Pubblicato il 22-03-2023

di Stefano Caredda

Un altro tipo di racconto è possibile, nonostante tutto. Lo dimostra l’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle, che in tv, e più precisamente nei telegiornali generalisti della prima serata, ha portato con sé un racconto giornalistico straordinariamente diverso rispetto a quello che è andato per la maggiore in tutto il decennio precedente. È una peculiarità che si è manifestata nella narrazione di un tema specifico, quello dell’immigrazione, ma è pur sempre un segnale del fatto che anche l’informazione può cambiare le proprie abitudini, e cambiarle in meglio.

I dati sono quelli del decimo rapporto di “Carta di Roma”, Notizie dal fronte, che ha monitorato la copertura del tema delle migrazioni e ha riscontrato nel 2022 un radicale cambiamento di prospettiva rispetto alla narrazione degli anni precedenti. Il racconto dell'accoglienza dei rifugiati ucraini in fuga dalla guerra, infatti, ha fatto sì che l’alterità generalmente associata alla figura del migrante si sia liberata dei suoi aspetti minacciosi, così che il sentimento di comunanza ha sostituito l’amplificazione delle differenze. Dei rifugiati ucraini è stata data una rappresentazione/percezione benevola, favorita verosimilmente dalla loro natura di rifugiati temporanei, dalla loro composizione demografica, da una certa familiarità preesistente nei loro confronti, perfino dalla condivisione di un nemico comune e di comuni obiettivi.

Interessanti i meccanismi di costruzione della narrazione che si sono innestati riguardo a loro: il contesto di partenza dei rifugiati, solitamente trascurato nei servizi riguardanti i migranti, è entrato prepotentemente nel racconto, ha assunto una sua consistenza narrativa, ha dato prospettiva e profondità alla figura del migrante. Il racconto del viaggio migratorio non è stato episodico, ma ha avuto una continuità narrativa: non frammentario ma organico, che ha permesso al pubblico di familiarizzare con i protagonisti e di sentirsi coinvolti nella loro vicenda umana. La narrazione è stata fortemente emozionale, solidale, empatica, il che ha favorito l’immedesimazione e l’assenza di toni allarmistici, solitamente tipici del racconto migratorio. Nessun dubbio è stato avanzato sulla macchina dell’accoglienza e sulla sua capacità di far fronte a numeri che, in altre circostanze – e ne abbiamo viste tante – sarebbero stati considerati ingestibili. Le voci dei rifugiati ucraini sono state le protagoniste dei servizi, persone intervistate con una frequenza mai riservata ad altre situazioni.

Insomma, abbiamo conosciuto un nuovo modo di raccontare l’immigrazione che però non sembra aver avuto effetti sulla rappresentazione degli “altri” migranti. Dopo l’allentarsi dell’attenzione sulla questione dei rifugiati ucraini, infatti, ci sono stati segnali per i quali l’informazione sull’immigrazione sembra essersi riassestata in fretta sui suoi abituali stilemi: l’episodicità, l’allarmismo, la controversialità, la debole attenzione riservata ai contesti di arrivo dei migranti e alle loro voci. C’è ancora da lavorare insomma. Ma la realtà ha dimostrato che si può fare, che un altro approccio è possibile. Se lo si è fatto una volta, lo si può tornare a fare.


Stefano Caredda
NP gennaio 2023

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