Solidarietà e tappabuchi

Pubblicato il 25-08-2020

di Stefano Caredda

L’emergenza sanitaria che caratterizza le nostre vite da ormai molti mesi ha portato con sé, quasi simultaneamente, un’altra emergenza, squisitamente economica e sociale. È lecito avere diversità di vedute sull’incisività della risposta che lo Stato – in primo luogo il governo – ha dato finora alle imponenti problematiche che la situazione richiedeva, ma quel che è certo è che quegli interventi non riusciranno a rispondere al bisogno diffuso che la crisi sanitaria ha generato in larghissime fasce della popolazione, anche quelle che fino a ieri non erano minimamente toccate da una situazione di necessità.

Se da una parte dunque è molto difficile pensare che davvero “andrà tutto bene” per tutti, dall’altra è indubbio che l’emergenza ha visto anche l’esplodere di uno slancio di solidarietà diffuso, con singoli e realtà associative che hanno provato a rompere l’isolamento di chi non ha avuto a disposizione alcun paracadute. Già in occasione della grande crisi iniziata nel 2008 il mondo del non profit e del terzo settore aveva svolto un ruolo fondamentale nel sostegno e nell’aiuto alla popolazione, con una crescita delle attività e della sua importanza anche a livello economico (vedi la crescita delle imprese sociali).

Ma quella era una crisi finanziaria, che non colpiva direttamente il mondo della solidarietà organizzata e dell’impresa sociale, e lasciava inalterata la possibilità di un loro intervento nei diversi contesti sociali. Fra i motivi per cui quella attuale è una crisi diversa da quella c’è anche il fatto che essa colpisce direttamente le azioni proprie del terzo settore: assistere, educare, curare, animare. Tutte situazioni dove c’è una persona che ne incontra un’altra. Esattamente ciò che non si può più fare, o meglio che non si può più fare con le stesse modalità che utilizzavamo nell’epoca pre Covid-19.

Per questo, nonostante i salti mortali che tutto questo mondo sta facendo, permane un forte punto interrogativo sulla capacità di intervento, nel corso del tempo, di quella parte del terzo settore colpita direttamente dalla crisi. Vicinanza e attenzione non sono affatto sparite, anzi le energie si sono moltiplicate, ma sui grandi numeri l’impatto complessivo in termini di supporto alle persone fragili sarà tutto da valutare. Non è un dettaglio, specialmente in una fase in cui il pubblico (in particolare gli enti locali) faticano a rispondere ad un disagio sociale così diffuso e sono quasi naturalmente portati a fare affidamento proprio sull’associazionismo, sul volontariato e sulle mille forme di solidarietà organizzata presenti in questo Paese.

La tentazione da respingere è che la disponibilità solidale della società serva a “tappare i buchi”, a coprire cioè servizi pubblici rimasti scoperti a causa dell’allargamento delle richieste e dell’aggravamento dei tradizionali problemi di bilancio. I servizi essenziali non vanno scaricati sulla solidarietà, ma semmai vanno rafforzati. Non lasciare solo chi aiuta gli altri sarà uno dei comandamenti più importanti di questa nuova era che si è aperta sotto i nostri occhi.


Stefano Caredda
NP giugno / luglio 2020

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