Le mie radici

Pubblicato il 24-01-2022

di Cesare Falletti

«Gli alberi compiangono gli uomini perché non hanno radici; non sono che di passaggio». Questa battuta di Pascale Lemaître ricorda un passo del Piccolo Principe e, come spesso, con l'apparenza di una frase umoristica detta con leggerezza, contiene un gran motivo di riflessione. Forse oggi più ancora di un secolo fa, la mancanza di radici per gli uomini è motivo di inquietudine, pur essendo una cosa sempre più diffusa. Gli alberi compiangono gli uomini, perché grazie alle loro radici che vanno in profondità, possono affrontare le variazioni del tempo, la violenza del vento e regnano su un territorio, limitato, ma in cui la loro presenza non solo si fa notare, ma influisce e dona un volto caratterizzato dalla loro esistenza. Se sono dei sempreverdi danno vita all'inverno togliendogli il suo aspetto di morte, se sono caducifogli colorano e caratterizzano l'ambiente con lo splendore e la meraviglia della variazione dei loro fogliami; con le loro radici e le loro foglie danno vita al terreno, con il loro respiro ossigeno all'ambiente. Allora possiamo chiederci: cosa dobbiamo imparare dagli alberi? La mentalità ecologica ci porta a tener conto della loro presenza e della loro necessità per il nostro equilibrio psicologico e fisico. Ma con la nostra frasetta possiamo interrogarci sul loro insegnamento filosofico.

«Gli uomini? Ne esistono, credo sei o sette. Li ho intravisti tempo fa. Ma non si sa mai dove trovarli. Il vento li trasporta. Mancano di radici e questo li imbarazza molto» dice il fiore nel deserto al Piccolo Principe. Non avere radici, non parlo di quelle fisiche, fa sì che non si ha una stabilità né spirituale, né affettiva e neppure psicologica. Si rischia di non sapere chi si è o cosa si vuole o come si può amare. E questo diventa una ferita profonda che si rimargina superficialmente con vari tipi di cerotti, ma che fa soffrire "dentro", perché provoca una cattiva solitudine: non quella che ci permette di trovare noi stessi e di crescere in umanità, ma quella che isola e soffoca nell'amarezza e nella tristezza. Certe ferite non lasciano tracce visibili, ma rimangono sorgente continua di infezione e di malessere

L'uomo è fatto per la relazione, non solo quelle orizzontali di amicizia e di solidarietà, molto belle e necessarie, ma anche quelle verticali, cioè con ciò che è il nostro passato e che ci ha costituiti così come siamo, e la preparazione di quello che seguirà nel futuro, relazioni per cui non moriamo avvoltolati e sof-focati in una bolla in cui siamo soli ad esistere. Queste radici, ricordi o opere compiute, possono essere dolorose per ciò che abbiamo vissuto, o inquietanti per una visione del futuro coperta di nubi oscure, ma rimangono necessarie per farci essere ciò che siamo e non essere portati via dal vento. «Ne esistono sei o sette» dice il fiore, mentre invece sono miliardi: se non sanno fermarsi per contemplare un fiore, piccolo, nel deserto, se non sanno lasciare una impronta del loro passaggio, sono come non esistessero. Le radici servono per legarci alla terra e nutrirci della vita: non siamo senza passato e non saremo senza futuro. Passare senza esserci è imbarazzante, direbbe il fiore ed è essere senza tempo, un ricordo fugace di un tempo passato che non si ricorda.

La gioia di ritrovare vecchie foto di momenti dimenticati ci fa prendere coscienza che abbiamo bisogno di ricordarci delle nostre radici, non solo dei momenti, delle sensazioni, ma soprattutto delle persone: ciascuna infatti in un qualche modo ci ha plasmati. Non è, però, solo questione di avere delle radici, è necessario anche lasciarle affondare in un terreno buono, in cui non sono portate via dal vento, non si inaridiscono per l'incuria e non sono soffocate dalle cose inutili.

Cesare Falletti

NP Ottobre 2021

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