Generazione post Covid

Pubblicato il 03-08-2022

di Stefano Caredda

Dopo oltre due anni, dal 1° aprile è ufficialmente finito lo stato d’emergenza legato alla pandemia da Covid-19: un traguardo anzitutto simbolico, che non significa la fine di ogni attenzione e precauzione, ma rende certamente evidente che l’evoluzione della situazione di crisi sanitaria ci ha condotto a un punto di relativo controllo, grazie agli strumenti sui quali abbiamo potuto contare, in particolare, nel corso degli ultimi 12 mesi.

La storia del Sars-Cov2 non finisce certamente qui, ma l’arrivo della primavera e dell’estate sembrano autorizzare nel breve periodo, anche sulla base dell’esperienza, un certo ottimismo per i mesi che abbiamo di fronte, anche se ciò che davvero avverrà, a breve e poi successivamente, lo vedremo solamente con l’esperienza diretta.
Come accade quando, anche semplicemente per convenzione, si decide di voltare pagina e chiudere una fase o un ciclo, la fine dello stato d’emergenza porta con sé il bisogno di un bilancio di ciò che è stato. Insomma, si contano i danni, e fra quelli che si spera non siano irreparabili ci sono certamente quelli legati al distanziamento e all'isolamento che hanno caratterizzato il nostro vivere nell’ultimo biennio.

Le conseguenze dell’attenuazione delle relazioni si sono mostrate più severe specialmente per coloro che già vivevano in partenza una situazione di fragilità: le persone con disabilità e le loro famiglie, i soggetti con difficoltà intellettive e relazionali, i cittadini che vivono ai margini della socialità. L’acuirsi delle patologie di natura psichica è un effetto ampiamente registrato a livello nazionale, che rende ancor più difficile la presa in carico e la buona riuscita delle cure. In molti in queste settimane si soffermano sugli adolescenti, su ragazzi e ragazze che hanno subito, proprio in una fase di per sé complessa, una rivoluzione nello stile di vita.

La precarietà esistenziale, il sentimento di solitudine, pur nella perpetua connettività al mondo della rete, la difficoltà o perfino l’incapacità all’interazione con il coetaneo e con il mondo degli adulti, interroga profondamente studiosi, educatori e clinici. Un malessere che non è solo quello che sfocia in violenza, povertà educativa, disinteresse per se stessi e gli altri, ma che è ben più largo e viene certamente acuito dalla difficoltà a trovare aree di incontro, di gioco, di relazione, dove vivere regole condivise, imparare ad auto-organizzarsi e a rapportarsi in presenza con il mondo degli adulti, oltre quello della famiglia.

Ci viene detto che lo spazio di solitudine che vivono i ragazzi va affrontato con una spinta costante alla ricerca di occasioni e spazi di crescita identitaria e di realizzazione, nella consapevolezza comune che questo percorso complesso deve fare i conti con le sfide che una società adulto-centrica come la nostra mette loro di fronte.

Sfide che chi fa già parte del mondo degli adulti rischia proprio di non vedere e di non percepire. Si, è proprio vero: la pandemia è stata uno spartiacque per tutti. Anche per i ragazzi.


Stefano Caredda
NP aprile 2022

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