L’attesa che viviamo è quella di un futuro misterioso, che non si riferisce ai giorni del calendario. Si tratta di un altro tipo di giorni: non è la quantità, ma la qualità dei giorni che, se Dio vuole, cambia.
Non ci bastano i giorni che viviamo? Dio, a questa domanda, ci risponde che non basterebbero mai, anche se fossero infiniti, perché sono giorni compiuti e definiti da noi. Verranno invece giorni diversi, cioè verrà una storia diversa che Dio ci donerà, ma della quale dovremo diventare protagonisti e testimoni in mezzo agli altri. Ecco perché la Chiesa si preoccupa che l’avvento non ci sfugga: se ci sfugge, perdiamo l’inizio della nuova nostra storia.
La storia ci fa guardare indietro. Se ci chiedono qual è la nostra storia, normalmente rispondiamo raccontando cose che ci sono accadute, non quelle che abbiamo fatto accadere noi. Senza volerlo, già ci interpretiamo come quasi vittime di questa storia, più passiva che attiva, trascinata da altri. Anche se rimane il desiderio che la mia storia sia quella che io ho deciso da me. Non c’è dubbio che le persone responsabili si siano costruite parte della loro storia, ancor più noi cristiani. Ma quand’anche la nostra fosse una storia non passiva, non rassegnata, la più costruita e la più evoluta, è proprio la storia stessa che non ci basta. E questa storia è quella che Dio, venendo, mette in questione, è come se dicesse: “La tua vita, tal qual è fino ad oggi, per quello che dipende da te solo, non ti basterà mai ed Io la metto in questione. Verrò Io – uomo come te, con la tua misura – perché la tua storia diventi un’altra”. Allora è molto bello pensare che la mia storia non è soltanto il luogo delle mie avventure e delle mie scelte, ma è soprattutto il luogo dove Dio realizza le sue promesse su di me.
Allora con Dio cambia tutto? No! La mia storia è il luogo delle promesse di Dio perché è Dio che mi ha plasmato. Devo capire cosa Dio mi ha promesso: ecco la ricerca del senso della mia vita, che avviene confrontando la mia vocazione con Dio e la sua Parola. “Che cosa ti sei promesso su di me, mio creatore, prima ancora di crearmi? Perché so che mi hai pensato. Che cosa mi hai promesso nel tuo cuore?”
La promessa che Dio ci ha fatta si capisce poco a poco e, quando si capisce, la vita diventa allora una tensione per rispondere, perché ci si rende conto che le promesse di Dio sono molto più grandi, belle, più vantaggiose di tutti i propri desideri realizzati.
Il cristiano deve lentamente imparare a ragionare così, e l’avvento ci viene in aiuto.
L’avvento infatti è un tempo in cui tu ricordi che Dio irrompe nella tua vita, che viene per compiere le promesse che aveva già pensato, e allora tu ti metti a vivere per andare incontro a quelle promesse.
Un giovane che ricerca la sua vocazione nella vita di ogni giorno, oltre che studiare, lavorare, muoversi, etc., porta dentro il segreto di voler capire cosa il Signore vuole da lui. Va cioè incontro alle promesse che Dio gli aveva già fatte, le vuole capire perché nella sua vita non vuole sbagliare, non vuole affidarsi alla sua estrosità e alla sua libertà non orientata.
In tempi come i nostri è molto importante che l’avvento ci risvegli, perché la nostra vita può essere appiattita sui nostri desideri e non sulle promesse di Dio. Bisogna riacquistare questo senso di attesa, alzare gli occhi e guardare in alto, sollevare il nostro cuore da quell’altro cammino che è quello di non tendere alle promesse di Dio, ma alle nostre speranze. In questo caso cosa mi succederà? In parte realizzerò le mie speranze, in parte no, e così, senza accorgermene, cammino verso la mia silenziosa scontentezza. Quanti cristiani tristi e insoddisfatti ci sono!
Se dimentichiamo che il Signore viene per farci capire meglio chi è per noi e come possiamo essere davanti a Lui, vivremo un avvento da quattro soldi! È invece molto importante prendere un volo alto, perché, sapendo molto bene che il Natale è socialmente vissuto come “operazione natalizia”, come commercio, non ce ne lasceremo coinvolgere più di tanto. Ecco perché è più che mai necessario guardare al germoglio di giustizia, a questo “altro” uomo la cui caratteristica è di essere giusto alla maniera di Dio, non a quella giuridica.
“Sono fatto per incontrarti, Signore, e so che il nostro incontro non è mai esaurito. So che tu, che mi dai tutto, puoi anche chiedermi tutto, e non me ne spavento. So che ho le mie incertezze, che sono incompiuto rispetto a te. E, allora, coltiverò meglio il germoglio. Germoglio, ti ho curato poco perché avevo troppe altre cose da fare. Ti darò più attenzione. Voglio diventare più giusto, più come te, Signore. La mia storia, a qualunque punto sia, deve accettarti di più”.
|