Vecchie e nuove corse

Pubblicato il 13-04-2022

di Paolo Lambruschi

L'anno 2022 sarà determinante per l'Africa. Lo affermano gli esperti e lo pensano le diplomazie delle grandi potenze che, con l'intensificarsi della pandemia e con la transizione energetica in atto – i due grandi mutamenti epocali che stanno condizionando l'economia e la politica internazionale in questo decennio – hanno iniziato una nuova corsa per l'Africa.

Chi sono vecchi e nuovi i protagonisti di questa corsa? I vecchi protagonisti siamo noi occidentali, europei, in particolare i francesi dai tanti interessi di derivazione coloniale nell'Africa occidentale, nel Nord Africa e a Gibuti, nel Corno. Hanno conservato un'influenza politica ed economica nell'area francofona e detengono ancora la proprietà di molte miniere di uranio, ma anche di diamanti, del legname e del petrolio. Con il ritiro progressivo degli Stati Uniti dal continente, negli ultimi 5 anni la Russia si è inserita nel vuoto creatosi in Libia, nella Repubblica centrafricana e ultimamente in Mali. I russi non sono presenti direttamente, ma hanno inviato i mercenari della Wagner Corporation a combattere contro le milizie, schierandosi con questo o quel governo. La Cina è arrivata in Africa 20 anni fa, partendo dall'Etiopia dove ha realizzato molte infrastrutture pubbliche e concesso prestiti molto favorevoli. In cambio ha aperto i mercati africani alle merci made in Cina, ha potuto comprare a prezzi molto favorevoli energia (come il petrolio) e le terre rare con le quali costruisce le batterie al litio per le auto elettriche e i componenti di cellulari e PC. La Cina e la Russia non fanno mai domande sul rispetto dei diritti umani: per questo sono considerate partner ideali da molti governi africani. Ultimi arrivati sono i Paesi arabi, in particolare Emirati e Arabia Saudita, che stanno investendo da una costa all'altra dell'Africa, mirando ad acquisire le risorse nel sottosuolo e sopra il suolo. Sono proprio le risorse energetiche e i campi coltivabili l'oggetto della nuova corsa all'Africa. Chi riesce ad appropriarsene impone i prezzi sui mercati globali e per questo non esita a finanziare guerre di milizie di terroristi jihadisti o ribelli. Secondo l'ultimo rapporto sui conflitti dimenticati della Caritas, 13 su 22 si combattono in Africa subsahariana. Non a caso Russia, Cina e Francia sono i maggiori esportatori di armi nel continente. Una nuova entrata è la Turchia che sta ripercorrendo la politica estera dell'Impero ottomano di 150 anni fa espandendosi sul Mar Rosso, in particolare in Somalia e in Libia.

Ma la cartina di tornasole di questa corsa per l'Africa e del futuro che aspetta il continente è la guerra civile scatenatasi ormai 15 mesi fa nel nord dell'Etiopia, sfuggita di mano a chi l'ha dichiarata, il primo ministro etiope Abiy Ahmed – Nobel per la pace 2019 – e che, tra continui ribaltamenti di fronte, è diventata la peggiore catastrofe umanitaria del continente con oltre 5 milioni di persone che vivono come se ci fosse una carestia. Abiy stava perdendo la guerra quando è stato rifornito di droni e armi dai cinesi, dai turchi, dai russi e dagli Emirati. Pechino e Mosca parallelamente hanno bloccato ogni tentativo dell'ONU di fermare il conflitto fratricida.

Cosa vorranno in cambio? La pace, allontanatasi da un continente flagellato da mutamenti del clima, Covid, con solo il 5% di persone vaccinate, non tornerà presto, non conviene a chi vuole sfruttare l'Africa e venderle solo armi. Serve allora che il 2022 diventi un anno in cui noi europei, soprattutto noi italiani, torniamo a scoprire l'Africa, anche se è quasi impossibile viaggiare a causa delle varianti del virus. Prendiamo l'impegno di interessarci di questa terra nostra sorella, pretendiamo notizie e diventiamo opinione pubblica critica. Non lasciamo soli gli africani ora che hanno più che mai bisogno.


Paolo Lambruschi
NP gennaio 2022

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