Africa afriche

Pubblicato il 16-12-2023

di Paolo Lambruschi

Personaggi in cerca di un nuovo ruolo in un copione ancora tutto da scrivere e che vogliono scrivere da soli. Questa sembra la situazione di diversi dei 54 Paesi dell’Africa – le Afriche – che stanno vivendo una profonda trasformazione nel mondo multipolare e sono al centro degli interessi di tutte le potenze. La questione è come gestire la pressione predatoria di vecchi e nuovi partner sulle risorse sopra e sotto il suolo del continente più ricco del pianeta e come contrastare le disuguaglianze.

La disuguaglianza in Africa riguarda anzitutto servizi base come la scuola e la salute al centro di molti progetti globali. Ma molte malattie, come la malaria, la tubercolosi e l’AIDS, sono ancora endemiche. Anche le scuole sono lontane nelle aree rurali e le classi delle scuole pubbliche spesso sovraffollate anche nelle megalopoli. Senza contare gli squilibri nella proprietà privata. Un rapporto di Oxfam afferma che il 10% più ricco della popolazione africana possiede il 61% della ricchezza totale del continente. Tuttavia in alcuni Paesi africani la percentuale può aumentare e, ad esempio, in Sud Africa il 10% più ricco della popolazione possiede circa il 71% della ricchezza totale. Gran parte della disuguaglianza in Africa affonda nel passato coloniale del continente. Le potenze coloniali hanno spesso creato strutture di potere che hanno privilegiato le élites e oggi i 54 stanno affrontando la concorrenza globale indeboliti dai debiti pubblici, dalle élite corrotte che favoriscono vecchi e nuovi padroni e, spesso, sono costretti ad accettare condizioni sfavorevoli nei loro scambi commerciali.

Per fare un esempio, secondo l’ultimo rapporto sul land grabbing della Focsiv, I padroni della Terra sui terreni accaparrati dalle multinazionali o dai fondi sovrani, la prima tra i continenti è l’Africa col 37,4%.
E per reggere a questa nuova corsa all’Africa del terzo millennio i 54 stanno ridefinendo gli equilibri. Anzitutto scegliendo la forma di governo.
La democrazia, in crisi ovunque, è la cartina di tornasole per capire i nuovi equilibri africani. Se facciamo nostra la teoria dell’economista indiano Amartya Sen secondo il quale la democrazia va a braccetto con lo sviluppo, si può pensare che gli avversari della democrazia qui stiano vincendo. A ovest, nella fascia del Sahel e in quella sub sahariana, la democrazia parlamentare e liberale sul modello occidentale nel continente non ha ancora attecchito e spesso è solo una facciata sotto la quale si celano governi autoritari e corrotti. Di fatto, in Africa subsahariana sono crollate negli ultimi anni molte democrazie sotto i colpi di jihadisti e milizie filorusse che, in definitiva, si sono sentite tradite dall’occidente che quel modello incarnava. Cosa non ha funzionato se oggi la comunità internazionale non può dare per scontato il cammino democratico verso la pace e lo sviluppo?
Per paradosso, il Paese in cui la democrazia è più solida, il Sudafrica, è per tradizione filorusso e ha ospitato a fine agosto il vertice dei BRICS i Paesi che puntano a sostituire il dollaro (e quindi l’Occidente) nell’economia globale ribaltando le posizioni.

A ovest, nel Sahel e nella fascia confinante si sono susseguiti otto colpi di stato militari in tre anni in sei Paesi. L’ultimo nel Gabon, il primo in Mali nel 2020 ha segnato l’inizio della fine della presenza francese e l’avvento dei miliziani filorussi della Wagner corporation. L’influenza francese nei Paesi ex coloniali, dove la moneta era il Franco CFA che si basava sull’economia di Parigi, è in forte declino militare culturale e politico. Le truppe francesi sono state costrette a lasciare anche il Niger, a nord del quale ci sono le miniere di uranio che alimentano parte delle centrali nucleari del Paese transalpino dal quale anche noi acquistiamo energia elettrica. In questi Paesi c’è una forte disillusione nei confronti della democrazia che è stata identificata con la Francia e quindi con l’Europa e una forte diffidenza nei confronti dell’occidente considerato sostenitore di regimi corrotti che dopo la decolonizzazione non hanno assolutamente portato sviluppo. Il caso del Niger è emblematico perché il popolo non ha avuto benefici dallo sfruttamento delle miniere di uranio.
Anzi è uno dei Paesi più poveri del mondo. In più l’Unione Europea per fermare i flussi migratori ha costretto il governo, fedele alleato occidentale fino al golpe di pochi mesi fa, a rendere illegale il traffico di esseri umani che era un’attività legale in un Paese di carovanieri e consisteva nel semplice trasporto al confine con la Libia e con l’Algeria dei migranti provenienti da tutta l’Africa occidentale e con il quale si sostenevano numerose famiglie.
Che oggi sono ferme o costrette a lavorare illegalmente. Insomma, sta prendendo piede la Russia, che offre cooperazione militare contro i jihadisti, la Turchia e le monarchie del Golfo, sempre ambigue con i terroristi.

Nel Nordafrica, dove prevale la figura del rais, l’uomo forte, la democrazia aveva attecchito in Tunisia, ma il fallimento della rivoluzione dei gelsomini del 2014, il forte indebitamento statale e la corruzione hanno favorito l’ascesa di Kais Saïed che ha vinto le elezioni presidenziali democraticamente impegnandosi in 4 anni a smantellare il sistema. Il Ciad, alleato dei francesi, è uno dei Paesi con il più basso indice di sviluppo umano al mondo e la disuguaglianza è elevatissima.

La Nigeria, Paese gigantesco, è una democrazia con una delle economie più grandi del continente, ma la disuguaglianza economica e la povertà sono diffuse, soprattutto nelle zone rurali. Anche il Kenya è democratico, ma con le sue baraccopoli e la povertà rurale rispecchia le contraddizioni africane. L’Africa ha una delle crescite demografiche più alte del mondo e la sua popolazione raddoppierà entro la fine del secolo, eppure nemmeno questa è una risorsa.
In molti Paesi africani mancano infrastrutture, strade, ponti, acqua potabile e reti elettriche necessarie per sviluppare l’economia e quindi migliorare la qualità della vita.

A soddisfare queste domande ignorate o sottovalutate dall’Ue e dagli Usa, negli ultimi 15 anni soprattutto, è arrivata la Cina promettendo meno o nessuna attenzione al rispetto dei diritti umani in cambio di aiuti economici per costruire le infrastrutture e per sviluppare delle zone produttive. L’Africa per Pechino non è solo una miniera a cielo aperto o un giardino da coltivare, ma anche una grande riserva di petrolio, che i cinesi hanno acquistato soprattutto in Sudan e anche una possibilità per avviare la nuova via della seta. L’Etiopia in particolare è l’esempio calzante di come la penetrazione cinese sia arrivata lontano partendo dal Corno d’Africa. Dopo aver costruito la linea ferroviaria che collega Addis Abeba, capitale di una nazione priva di sbocchi sul mare, a Gibuti e le linee ferroviarie interne alla capitale etiope, ultimamente Pechino ha messo in palio il passaggio delle merci della via della seta sul Mar Rosso. Questo ha spinto il premier etiope Abiy Ahmed – che pure nel 2019 aveva vinto il Nobel per la pace, per la firma dell’accordo con l’Eritrea dopo vent’anni di conflitto – a reclamare con ogni mezzo uno sbocco sul mare inclinando pesantemente il rapporto con gli eritrei.

Altro nuovo attore della comunità internazionale è la Turchia molto presente in Somalia e in Libia, due Paesi instabili che servono a Ankara per sognare la rifondazione dell’impero ottomano, e per incrementare le vendite di armi, soprattutto di droni. I tanti conflitti africani che si collocano soprattutto nella fascia dei mutamenti climatici, cui il continente ha contribuito solo per il 4%, sono infatti un florido mercato per l’industria bellica. Resta da valutare quale sarà, a parte l’acquisto di terreni e la presenza commerciale, l’effetto dell’ingresso in scena di India e Brasile due nuovi grandi attori che si stanno affermando sulla scena internazionale.

Quale può essere il futuro per l’Africa? Probabilmente cominciare a cooperare tra i 54 Paesi in maniera più stretta, arrivando sul modello dell’Unione Europea a favorire movimenti di merci e persone abolendo i confini e poi cooperando sempre più strettamente con l’ue, la cui popolarità è in calo, ma che resta il principale investitore sul continente con il quale ha pur sempre legami storici.
Ma anche errori che ha commesso, ritirandosi colpevolmente dall’Africa quando riteneva che non fosse più interessante politicamente e che fosse solo una grande terra da sfruttare.
 

Paolo Lambruschi
NP novembre 2023

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