Per un cuore libero

Pubblicato il 07-11-2022

di Cesare Falletti

Ho provato la grazia di veder partire i miei fratelli con grande serenità, come già avevo provato al momento della partenza dei miei genitori

Gli anni e il loro ricordo sono segnati da avvenimenti, non sempre molto importanti, ma che lasciano una traccia. I due anni scorsi sono stati segnati dall’epidemia di Covid 19 che ha cambiato molte cose nella società e nelle nostre vite. Poi la guerra in Ucraina, che ci lascia ben smarriti, come se cose del genere ci avessero promesso di non riapparire più. Eppure da Caino e Abele l’uomo non è mai riuscito a sconfiggere la guerra ed ha sempre cantato i benefici della pace. Così come tutta la meravigliosa ricerca contro le malattie non ci impedisce di cedere a esse, neanche dopo una lunga lotta.

Quest’anno, però, per me e la mia famiglia è stato l’anno della morte dei due fratelli più anziani: la morte ha toccato per la prima volta la nostra generazione. Si rimane stupiti, anche se la cosa è assolutamente naturale. Dato che non sappiamo come esprimere ciò che “sentiamo”, lo esprimiamo con parole come tristezza, dolore, ferita, ecc. Per me, almeno in questo caso, queste parole non dicono niente. Ho provato la grazia di veder partire i miei fratelli con grande serenità, come già avevo provato al momento della partenza dei miei genitori. La medicina fa molto per togliere, almeno in parte, la sofferenza fisica, ma non toglie la sofferenza del distacco; eppure questa cresce lentamente, man mano che si prende coscienza che non è un’assenza che prepara un ritorno e durante questa crescita in noi c’è un cambiamento.

La morte fa sempre male e non siamo mai veramente preparati ad affrontarla, soprattutto quella degli altri, le persone care, perché della propria nessuno ha esperienza e le nostre paure o fantasie sul come della nostra morte sono totalmente irreali. Come sempre la medicina che attutisce le ferite è l’umiltà. Accettare di non essere onnipotenti e che questa è una cosa giusta e necessaria, ci permette di guardare ciò che rovescia i nostri desideri come apertura a un mondo nuovo. Dapprima si presenta come un “mondo senza”, un mondo imperfetto, perfino ostile, ma poi il nostro mondo interiore si riempie di presenza. Se la morte dapprima rischia di svegliare in noi dei sensi di colpa, infatti non siamo stati parenti o amici perfetti, piano piano ci spinge a riconoscere che non potevamo esserlo e che in noi esistono tante imperfezioni. Ma siamo stati amati lo stesso: coloro che sono partiti ci hanno voluto bene così come siamo.

Scopriamo che ciò che ci ha tenuto in piedi è la gratuità, vera merce di scambio fra persone che si vogliono bene. Non serve passare in rassegna quanto abbiamo sbagliato, in quante cose abbiamo mancato, ma quanto è stato importante esserci gli uni per gli altri, aver parlato o aver taciuto insieme, aver fatto qualcosa o aver avuto solo un forte legame senza che nessuna opera, lavoro, o progetto sia stato un legame che ci ha stretti e fatti camminare insieme. Può essere stato importante aver condiviso la fede, ma anche questo non è indispensabile perché il ricordo si trasfiguri in una luce che rischiara l'orizzonte.

La lotta è per purificare il nostro cuore dal senso di possesso, di diritto sugli altri: nessuno è nostro, tutti siamo solamente di Dio, e l’aver amato e l’amare ancora nonostante l’assenza, è un invito alla gratitudine, sentimento che rischia troppo spesso di mancarci mentre è l’unico dovere che abbiamo, ed è qualcosa di bello.

Se lasciamo che il dono della fede ci abiti, anche se non sembra arricchirci o consolarci, questa bellezza della gratuità di cui siamo colmati dona una nuova luce e lascia sfumare tanti appigli a cui ci siamo aggrappati e che ci sembravano indispensabili.

La vita cambia e anche la morte di chi amiamo ci fa scoprire che siamo sempre persone nuove, non diminuite né cresciute, semplicemente nuove e che hanno bisogno di un altro orizzonte.

Cesare Falletti

NP Giugno-Luglio 2022

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