Parasceve e Anastasia

Pubblicato il 03-01-2024

di Chiara Dal Corso

Questa raffinata icona russa della scuola di Novgorod, rappresenta due sante martiri tra loro contemporanee ma che non si sono conosciute. Uccise entrambe sotto l’imperatore Diocleziano, una nel 303 e l’altra nel 304. Vengono spesso raffigurate e ricordate insieme, specialmente nella liturgia ortodossa, a motivo dei loro nomi, che le hanno rese, con il passare dei secoli, due figure simboliche.

Infatti “parasceve” in greco significa “preparazione” e troviamo questo termine nel vangelo, al momento della deposizione di Gesù dalla croce (Gv 19,31). Indica quindi il venerdì, giorno della Passione di nostro Signore. La tradizione narra infatti che lei nasce di venerdì e che «abbia conosciuto la croce di Cristo» con il suo martirio. Nasce probabilmente a Iconio, allora provincia romana, da famiglia ricca, che le trasmette la fede cristiana, e dopo la morte dei genitori, utilizza la sua grande eredità per aiutare i poveri della città, servizio cui unisce la testimonianza della sua fede e del suo amore per Cristo. Questo disturba l’imperatore, che la fa prima torturare per costringerla ad abiurare e non ottenendo lo scopo la condanna alla decapitazione.

Anastasia invece deriva dalla parola greca “risurrezione”, e quindi è legata al giorno della Domenica. Di origini italiane (Roma), dopo la morte del marito si reca a Sirmio, attuale Serbia, ad aiutare i cristiani perseguitati, e curare quelli in carcere. Per questo viene raffigurata con una boccetta di unguento in mano e soprannominata “Farmacolìtria” (Guaritrice dai veleni). Muore bruciata viva il 25 dicembre, dopo aver rifiutato di abiurare il cristianesimo.

Parasceve è sempre raffigurata con il velo bianco sulla testa, simbolo di conversione e di castità, il maphorion rosso che le copre il capo, le spalle e le braccia, colore del martirio, del suo sangue versato unito al sangue di Cristo. Anastasia, di solito con il maphorion che tende al colore verde, invocata come guaritrice, risanatrice, liberatrice dalla prigionia. Ancora oggi simbolo di unione tra il mondo cattolico e quello ortodosso perché venerata da entrambe le Chiese. Rappresentate insieme, Parasceve e Anastasia diventano fi gure di profondo significato cristologico: simboli della passione e della risurrezione di Gesù.

A parte il rosso che ha valore vitale in se stesso, le loro vesti sono così luminose e cristalline perché vogliono indicare quanto le loro persone fossero attraversate, permeate, dalla luce della grazia di Dio, la sola che può donare il vero amore, che dà la fortezza nelle prove, il coraggio nella fede, la costanza nel martirio.

Due sante venerate dai cristiani sin dal quinto secolo, che pur non conoscendosi, sono accomunate dal loro amore per Cristo, dalla loro storia, e dai loro nomi, che le hanno fatte diventare emblema (oggi specialmente per la Chiesa orientale) della santità popolare femminile, della santità di tutti i giorni.

Contemplando questa icona, allora, nonostante la sua scarna semplicità, possiamo fermarci e chiedere anche noi a Dio di poter essere attraversati dalla sua grazia, di renderci accoglienti al suo Spirito, che vuole donare anche a noi, ogni giorno, in ogni occasione, nei nostri piccoli o grandi martiri quotidiani, nelle situazioni e relazioni che ci vanno strette e in cui, per responsabilità, dobbiamo stare, proprio là dove facciamo più fatica, vuole donare anche a noi la grazia della pazienza, del dominio di noi stessi, del santo distacco per cercare sempre la verità più profonda, e l’amore, quello vero, quello che non dice mai basta, che si consuma fino alla fine, che ama non per essere amato ma per amare colui da cui veniamo, colui che già ci ama di amore eterno e a cui tutti apparteniamo, per ringraziarlo, e forse, consolarlo anche un po’.


Chiara Dal Corso
NP novembre 2023

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