Occhio che veglia

Pubblicato il 05-02-2024

di Chiara Dal Corso

Un’icona per pregare il Natale con uno sguardo nuovo

Occhio che veglia, o più letteralmente “occhi insonni” è il titolo di un’icona molto amata nella chiesa orientale, che raffigura il bambino Gesù “reclinato” come per dormire (da cui l’altro nome di questa icona: Cristo Anapeson: reclinato). Esistono diverse versioni, più o meno ricche di personaggi e dettagli; quella proposta è stata scelta perché è tra le più complete e ci permette di comprendere a pieno il significato di questa immagine. Viene dal monastero di san Nikita, in Macedonia, e risale al XIV secolo. Raffigura una scena successiva alla natività e, infatti, in alcune chiese è collocata tra i cicli di affreschi legati all’infanzia di Gesù, durante la fuga in Egitto.

Gesù è bimbo, ma – e in questo affresco è particolarmente evidente – ha nel volto la serietà dell’adulto e dimensioni maggiorate per evidenziare la sua centralità nella scena. È “reclinato” per dormire, ma non dorme e con la testa appoggiata sulla manina ci guarda, come dice il salmo 121: «Non si addormenta, non prende sonno il custode di Israele». Il bimbo quindi veglia, su un giaciglio rosso, che abbiamo già riconosciuto come il colore che indica allo stesso tempo la sua regalità e la sua passione. Ha anche le gambe e i piedi scoperti, evidente richiamo alla crocifissione. La madre che veglia accanto a lui è in atteggiamento di preghiera e dolore, come la troviamo in tante icone sotto la croce o, in altri casi, le sue mani sono alzate in preghiera, come nelle deesis. Come qui, spesso a fianco a Gesù c’è anche Gabriele, l’arcangelo che ha seguito in modo speciale la sua infanzia, dall’annunciazione alle indicazioni date in sogno a Giuseppe. In altre versioni sono presenti altri angeli che vengono in adorazione e portano l’olio per la sepoltura, oppure gli strumenti della passione.

Un bimbo che non dorme, una madre che intercede, angeli in adorazione e custodia, dettagli che ci parlano di morte, del sacrificio della croce. Ecco una “versione” del presepe cui non siamo molto abituati, tutto l’incanto della grotta sembra raffreddarsi, ma non è così: se ci fermiamo e stiamo un po’ vicini a quel bimbo, se ascoltiamo il silenzio dolce della madre, ci accorgiamo che il suo messaggio è più profondo, più drammaticamente vero e bello di una scena idilliaca e astratta.

Infatti lo sguardo di questo bimbo, che ancora piccolo e tenero, inerme e bisognoso di tutto, veglia su di noi, ci rivela come egli abbia vissuto tutta la sua vita, sin dai primi giorni – non solo nelle ultime ore della passione – guardando a noi, cioè donandosi a noi pienamente, offrendo tutto quello che viveva, anche le sue necessità infantili, i disagi sopportati fin dall’inizio, la povertà della sua nascita, i viaggi, l’esilio… per amore nostro. Ci dice l’amore già adulto di quel bimbo, l’amore di Dio, da subito drammaticamente consapevole di quello che lo aspettava, della durezza che avrebbe incontrato e del rifiuto terribile e doloroso che proprio coloro per i quali è venuto gli avrebbero opposto, e a quale prezzo!

E insieme a lui, inseparabile, la Madre, che ci viene affidata come nostra, totalmente fiduciosa e abbandonata insieme al figlio alla volontà del Padre, gli angeli a indicare tutto il cielo, tutto l’invisibile regno dell’amore che fa il tifo per Gesù, per la vittoria del suo amore continuo in mezzo a noi e che fa il tifo per noi. Perché riusciamo a fidarci, perché finalmente incominciamo a credere al suo amore, a credere che ci ama davvero, a credere che è disposto a tutto e a darci tutto pur di averci di nuovo suoi, di nuovo con Lui, nella Pace, nell’armonia, di un’unica famiglia, fratelli e insieme figli amati di uno stesso Padre, così come siamo stati pensati. Buon Natale.

Chiara Dal Corso

NP Dicembre 2023

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