L'ora della glorificazione

Pubblicato il 27-03-2013

di Giuseppe Pollano

di Giuseppe Pollano - Gesù è morto sulla croce ed è risorto. Il Padre è stato glorificato. I cristiani sono chiamati, come Gesù, a glorificare Dio.

Una premessa: che cosa è la gloria?

Umanamente parlando è il consenso dato a qualcuno. Cioè ricevo gloria quando gli altri mi approvano e mi manifestano ammirazione perché notano in me capacità, qualità... che apprezzano.
La gloria di per sé è gradevole, non è cosa cattiva. La natura umana ha infatti bisogno di stima, consenso per valutare positivamente se stessi, sentirsi accettati: l’esclusione sociale può avere gravissime conseguenze, distruggere la vita.
Dopo il peccato, che ci ha portati a riferire tutto a noi stessi, la gloria è diventata pericolosa perché alimenta e aumenta la nostra autovalutazione squilibrata dal peccato, cioè ci sopravalutiamo rispetto a noi stessi o rispetto agli altri, siamo inclinati in particolare alla millanteria, che è l'abitudine a parlare di sé; all'ostentazione, cioè la tendenza ad attirare l’attenzione altrui in vari modi; all'ipocrisia che simula l’apparenza di virtù, inventa meriti...
Siamo di fronte alla vanagloria, alla gloria fatta di nulla, che non serve a nulla; anzi, distrugge proprio il vanaglorioso. Lo scopo di questi atteggiamenti è avere prestigio. Se poi espandiamo dal singolo a livello planetario questa idea di valere più degli altri, la pretesa di essere glorificati provoca tragedie. I cristiani hanno da sempre capito le conseguenze che derivano dall’insuperbirsi, dal lasciarsi invadere da un orgoglio sottile, anche facendo cose buone.


Icona della trasfigurazioneIl comportamento di Gesù è decisamente opposto ad ogni vanagloria

Ha detto:
Io non ricevo gloria dagli uomini (Gv 5,41).
Gesù è pienamente nel diritto di ricevere gloria: è Dio! La Trasfigurazione mette ben in evidenza chi è lui e chi non siamo noi. Non si è incarnato per ricevere applausi, fare un corteo trionfale.
Voi ricevete gloria gli uni dagli altri (Gv 5,44).
Nel rimprovero che Gesù rivolge ai farisei perché non rendono gloria al Padre, ne indica la causa nel ricercare e prendere la gloria gli uni degli altri. Il detto noblesse oblige sintetizza questo atteggiamento: mi richiamo a molti doveri per prendere gloria dagli altri.
Va' a metterti all’ultimo posto (Lc 14,10).
Gesù, che è Dio, ci dice di imparare da lui che è umile di cuore. Gesù sa di valere, ma non vuole prevalere.


Gesù ha come obiettivo la gloria del Padre

Gesù ha un netto rifiuto di ogni glorificazione nei suoi stessi confronti. Al tempo di Gesù c’era una attesa febbrile del messia, e lui, suscitando entusiasmi, poteva essere inteso come colui che avrebbe liberato il popolo dai romani. Ma il suo obiettivo era un altro: la glorificazione del Padre. Questo era completamente assente nella mentalità della società di allora, dove l’idea di Dio era vaga.
Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre che è nei cieli (Mt 5,16). Io devo far splendere la mia luce davanti agli uomini perché capiscano che il Padre, tramite me, è buono, potente... e quindi glorifichino lui e non me. I farisei si rifiutano di ascoltare Gesù parlare del Padre, non vogliono ucciderlo per le opere buone, ma perché si fa Dio chiamando Dio suo Padre (cfr Gv 9,28-41), il loro padre è Abramo (Gv 8,37) non Dio.
Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: “Mostraci il Padre?”< /i> (Gv 14,9): guardando Gesù noi dobbiamo imparare a guardare il Padre da veri figli.


Maestro di Figline, CrocifissoGesù vive personalmente solo per realizzare questo obiettivo

La gloria di Gesù – il suo ottenere consenso da parte nostra, per la manifestazione della sua eccellenza divino-umana – è consistita nel non cercare la sua propria gloria umana (cfr Gv 8,50) e nel compiere l’opera che il Padre gli ha data da fare (cfr Gv 17,4).
Tale opera comprende la rivelazione del suo amore al Padre, fino all’obbedienza crocifissa. Gesù desidera che gli uomini lo lodino per quanto egli ha amato sia il Padre che gli uomini suoi fratelli. Ed anche il nostro compito è attirare il cuore della gente a scoprire il Padre, desiderare di vivere in modo tale che gli altri vedano e ammirino come noi preghiamo, amiamo; questa non è vanagloria, perché stupisce sempre un atto di gratuità: prima ci guardano con stupore, poi consentono nel riconoscere quando uno è buono.
E così si costruiscono gli altri nel bene, si trascinano a fare un bene che neppure pensavano di fare.


Anche noi, figli in Gesù Figlio, siamo chiamati a glorificare il Padre

Gesù ha trascinato gli uomini a dire: “Abbà!”. Ma non basta pronunciare questa parola per esprimergli affetto e dichiarargli che gli appartengo. Devo fare qualcosa perché sia glorificato, devo desiderare che il Padre abbia il consenso universale di tutti, perché è il principio di ogni bene.
Glorifico il Padre? Devo fare un profondo esame di coscienza. “Non muovo dito senza che il Padre ne sia contento” può già essere un primo elemento di verifica pratica.
Sono attento alle piccole divisioni di coscienza, ai piccoli progetti di mia vanagloria, presenti pur se amo Dio? Teniamo presente che la purificazione non finisce mai.
Ringrazio Dio per le mie doti? Come le uso? Me ne approprio solo per me? Il lavoro e la professionalità devono dare stima, ma devo salvarmi dal rischio dell’autocompiacimento. L’equilibrio si costruisce nella prova: abbiamo il dovere di coltivare e sviluppare tutte le doti, non per darci arie, ma per far fare ottima figura a Dio.
Chi trascura questo aspetto di potenziare le proprie doti e pensa solo alla spiritualità, sbaglia: diventa non spiritualità, ma devotismo, pietismo.


James Tissot, Padre nostroPadre nostro

Riprese in questa chiave, le prime tre invocazioni al Padre diventano molto potenti.
Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà: lo Spirito in noi è vigilante. Quando sbaglio, sbando un po’, mi fa capire che devo essere umile, tornare ad amare gli altri e non me; come Gesù voglio che il senso della mia vita sia rendere gloria al Padre, glorificandolo con la bontà e con il coraggio della verità, sapendo che non do bontà senza verità e non posso dire la verità senza bontà.
La nostra cultura è del tutto estranea a tale visione della vita, eppure la verità e il coraggio dell’esistenza dei figli come in cielo stanno qui sulla terra.


 
 
Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

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