La vedova di Nain, una povera figlia di Israele

Pubblicato il 23-05-2023

di Anna Maria Del Prete

Oggi incontriamo una donna che con il suo pianto offre a Gesù l’occasione di rivelarsi come messia. La vedova di Nain che con il suo pianto è rimasta incancellabile nel ricordo dei lettori del vangelo di ogni tempo.
Proveniente da Cafarnao, Gesù si incontra con un grande dolore, una vera tragedia che dalla cultura ebraica veniva collocata al vertice delle sciagure, la morte dell’unigenito di una vedova, un dolore che non si può commisurare con nessun altro. Al dolore si aggiunge la difficile situazione di estrema miseria nella quale si trova una vedova priva di ogni sostegno finanziario, proiettata quindi in un’esistenza sventurata.

La desolazione della donna è descritta con quattro parole lapidarie: unico figlio di madre vedova. Tutto le è venuto a mancare nella vita, non ha più alcun motivo per lottare e vivere. È la più povera tra i poveri e Gesù è coinvolto intimamente in questa tristissima storia: «Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: “Non piangere!”». Gesù non è coinvolto tanto dalla morte, quanto da quel pianto che grida tutta la disperazione. Il verbo greco usato per esprimere la commozione trova la radice nel grembo materno, utero e viscere, considerati dall’antropologia biblica come sede dei sentimenti.

Il dolore di quella donna ha suscitato in Gesù una compassione viscerale che lo ha condotto ad avvicinarsi con una sola parola: “non piangere” è un invito a non perdere la speranza, ad aprire il cuore a una sorpresa. Poi si fa ancora più vicino alla lettiga e tocca direttamente la morte. “I portatori” al centro di quel triste corteo “si fermarono” per riprendere subito dopo un cammino di vita e di gioia.

«Giovinetto, dico a te, alzati»: ora il Signore della vita si rivolge al giovinetto con due semplici parole più potenti della morte. «Il morto si levò a sedere … Ed egli lo restituì a sua madre».
Gesù restituisce a quella donna ciò che la morte le aveva strappato: la vita. Il dolore si è cambiato in gioia e il pianto in felicità. Tutti furono presi da timore: il timore di Dio non è la paura, ma è quel misto di sgomento e di felicità della creatura: sgomento per la propria finitudine dinanzi alla grandezza e onnipotenza di Dio e felicità nel ritrovarsi amata, desiderata e seguita costantemente da lui.

La costatazione dell’opera meravigliosa compiuta dal Signore colma di gioia i cuori di tutti i presenti che prorompono in un inno di lode e di gloria sintetizzato nell’acclamazione finale: «Un grande profeta è sorto in mezzo a noi e Dio ha visitato il suo popolo». In realtà Gesù è ben più di un profeta: egli non è solo uomo di Dio che trasmette la sua parola senza essere datore di vita. Gesù opera il miracolo di guarigione in forza della sua propria Parola, che ha il potere divino di dare la vita ai morti. È datore di vita, come il Dio dell’Alleanza; tanto che gli viene attribuito il titolo divino di Signore. Il popolo, infatti, ha riconosciuto in lui più che un profeta, ha capito che è il messia promesso perciò esclama: «Dio ha visitato il suo popolo», ha riconosciuto l’intervento premuroso di Dio nella sua storia. Un intervento che si ripete nella nostra storia, sempre che lo riconosciamo e accogliamo.


Anna Maria Del Prete
NP febbraio 2023

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