Il Dio che ha pianto (1/2)

Pubblicato il 21-02-2013

di Giuseppe Pollano

di Giuseppe Pollano - Ci sono due episodi, nel Vangelo, in cui Gesù piange: il pianto di Gesù su Lazzaro e quello su Gerusalemme. In questa prima riflessione ci soffermiamo sul racconto riportato da Giovanni nel suo vangelo.

Salvo Monica, La risurrezione di LazzaroGesù allora, quando la vide piangere, e piangere con lei anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: “Dove l’avete posto?”. Gli dissero: “Signore, vieni a vedere!”. Gesù scoppiò in pianto. (Gv 11,33-35)

Il nostro Salvatore ci vuole insegnare, attraverso il suo atteggiamento, a saper andare al di là delle nostre lacrime e a saper piangere con Dio in questo tempo così smarrito. Ciò non significa che dobbiamo diventare gente triste, ma semplicemente persone che vogliono condividere le vibrazioni del cuore di Dio in Cristo, per sapersi chinare sul dolore degli altri. Il tempo di quaresima è particolarmente indicato a far propria la raccomandazione di Paolo ai Filippesi: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Gesù Cristo” (Fil 2,5). Per questa ragione riflettiamo su quel singolare e impressionante atteggiamento che Gesù ha avuto: piangere sui nostri dolori, piangere sulla condizione umana. Per quel che ne so, non esistono icone di Gesù che piange. Eppure è una cosa straordinaria questo Dio che piange sul dolore umano.

Non è facile immaginarci Gesù che scoppia a piangere: è una scena – e quindi un volto di Gesù - che sembra fuori della normalità. Piangere, quando è sincero, è un atto profondo del nostro cuore, ma è anche un momento in cui siamo indifesi, in cui ci lasciamo dominare da una situazione, tanto è vero che, in genere, cerchiamo di trattenere il pianto quando siamo in pubblico.
Invece il Signore non si è per nulla vergognato di scoppiare a piangere dinanzi a tutta quella gente che lo osservava con occhi molto attenti. Siamo dunque di fronte ad un atteggiamento di Dio che ci insegna le giuste reazioni di fronte alle situazioni nelle quali possiamo venire a trovarci. Infatti il commento dei Giudei davanti a questo scoppio di lacrime è: “Guardate come lo amava!”.
Noi possiamo provare molti sentimenti nel corso di una giornata, ma quello più profondo e fondamentale del cuore cristiano è condividere le lacrime di Dio sulle miserie umane, capire perché il Signore è scoppiato a piangere, perché è stato così umano al punto che siamo tentati perfino di giudicarlo troppo umano.

Perché Gesù ha pianto? Si possono fare almeno quattro ipotesi: per condivisione, per il suo affetto a Lazzaro, Maria e Marta, per il suo intenerimento nella condizione umana; perché era l’incarnazione della tenerezza di Dio.


Gesù ha pianto per una condivisione aperta e cordiale

Piangevano tutti. Quando siamo toccati, quasi dominati da una tristezza comune, senza volerlo entriamo in comunione con l’altrui commozione per una specie di empatia che porta a piangere con chi piange.
Le persone dure di cuore si conservano estranee al dolore in mezzo al quale si trovano, non si sciolgono, guardano con una certa distanza l’altrui dolore. È uno dei peggiori segni di disumanità. Infatti quelle orribili forme di contro educazione che spesso sono adottate nei regimi tirannici spengono nei cuori dei ragazzini la capacità di piangere con, di essere commossi. Li educano ad atti disumani, pretendendo che li compiano senza piangere, fino a tradire madre e padre. Questo è lo sconvolgimento demoniaco di un qualcosa che invece è il primo veicolo per entrare in comunione con tutti: piangere con chi piange, non escluderci dall’altrui sofferenza. Gesù ha avuto questa umanità e pertanto ce la insegna.


Gesù ha pianto a causa del suo affetto

Fabrizio Diomedi, Miniatura LazzaroGesù amava Lazzaro, Marta e Maria. Certamente avevano ragione coloro che dicevano “Guardate come lo amava”. Qui siamo di fronte alla dimensione amichevole della vita.
Potrebbe accadere che qualche volta, per come siamo fatti, ci sentiamo più amici di estranei piuttosto che di quelli che abbiamo in casa. Bisogna essere attenti a questa divisione del cuore, perché è più facile essere amici con coloro che ci sono appena un po’ meno vicini e con i quali non condividiamo continuamente la vita. È vero che Gesù ha detto “Chi ama la madre e il padre più di me non è degno di me”, ma non ha annullato le parentele. Un modo per giudicare i cristiani è infatti vedere come si comportano in casa, non come si comportano fuori.
Gesù mostra qui la forza dei legami naturali, delle amicizie, ossia valorizza la dimensione familiare della vita, quella che oggi è assai in crisi, non fosse altro per le distanze, le diversità, le molte persone che incontriamo con il conseguente possibile raffreddarsi di alcuni legami familiari. Gesù arriva a piangere per questi affetti.
Beato chi sa piangere perché ha fatto soffrire qualcuno! Non bisogna mai ritenersi superiori alle proprie lacrime quando se ne hanno fatte versare; perché quando si sono fatte versare delle lacrime, si resta in debito di quelle lacrime. Le lacrime si pagano con altre lacrime.


Gesù è scoppiato a piangere per il suo intenerimento sulla miseria della condizione umana

Qui entriamo nell’ampiezza del cuore di Cristo. Si vive e poi si muore, ci si vuol bene e poi la morte ci separa. Questa condizione umana è triste e lacrimevole di per sé, anche quando non ci tocca di persona. Infatti Gesù avrebbe potuto anche non piangere, perché stava per far risorgere il suo amico e rendere tutti felici. È vero che lo avrebbe fatto risorgere, ma intanto Lazzaro era ancora morto ed è un passo falso entrare con disinvoltura e allegria nella sofferenza degli altri. Gesù va al di là e in questo amico morto vede la sofferenza umana e la morte di tutti gli amici, anzi di tutti gli uomini; e lui, essendo la vita, non può non avere una profonda compassione per noi che siamo mortali, cioè soggetti ad una ‘prima morte’, di cui, anche se non è quella definitiva, sentiamo la drammaticità.
Gesù considera la natura umana ancora attraversata dalla fragilità e la compatisce. Questo non è un sentimento soltanto cristiano. Un grande poeta pagano, Virgilio, ha scritto con intuizione profonda parole bellissime sul fatto che tutto piange, che le cose piangono, che c’è il pianto nella vita.

Se noi cristiani recepiamo bene l’atteggiamento di Gesù, non cercheremo mai, di fronte a una sofferenza che sfida il nostro cuore, di tirarci indietro, di far come non ci fosse, di distrarci. Una buona parte della distrazione degli uomini, del loro modo di passare il tempo, è proprio quella di non pensare, altrimenti non ci sarebbe una parete così sottile tra la discoteca e il suicidio: è lo stesso soggetto che si immerge in un’atmosfera fisicamente e psichicamente alterata, quasi a proteggersi da quello che altrimenti non può non vedere; e poi, quando lo vede, non ce la fa, cede. È un dramma che non accade solo ai giovani che si suicidano: accade anche a quelli che non si suicidano ma vivono da suicidi, cioè senza motivazioni alcune.
È bello che ogni tanto noi cristiani gettiamo uno sguardo attorno e ci rendiamo conto della povertà degli uomini, per imparare a leggere nei loro occhi quella certa tristezza di fondo che non ci dicono e che nessun altro legge. Un po’ di anni fa un piccolo romanzo di Françoise Sagan intitolato Bounjour tristesse ha fatto epoca non perché fosse un capolavoro letterario, ma perché rivelava qualche cosa che abbiamo tutti dentro: una certa tristezza di fondo. È questa condizione che ha fatto piangere il Signore e che gli ha fatto dire una frase che suonerebbe così: quanto siete poveri amici miei! Come siete degni di lacrime: vivete un po’ e poi morite, sperate un po’ e poi siete delusi, gioite un po’ e poi soffrite.

È bellissima questa compassione di Dio. Se avessimo avuto un Dio filosofo, come si sarebbe comportato? Invece abbiamo un Dio che è venuto a piangere sulla nostra caducità, quella che il Qoelet descrive così bene: “Tutto è vanità”, tutto passa. E conclude cercando di dare un motivo di non disperazione: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché qui sta tutto l'uomo”, coma a dire: cerca di fare quello che puoi, non pretendere troppo e stai in pace.
Gesù non viene a ripetere, come Qoelet, che tutto è vanità, vanità delle vanità e, quindi, che bisogna cercare di piacere a Dio e rassegnarsi, Gesù viene a piangere sulle situazioni; sa che è venuto per ripararle, ma la sua commozione resta integrale.

Gesù ha pianto perché è l’incarnazione della tenerezza di Dio

Dario Benetti, La risurrezione di LazzaroGesù non piangeva soltanto lacrime umane, ma anche lacrime teandriche, cioè dell’Uomo-Dio: era Dio che piangeva. Il Verbo si è incarnato per poter piangere, ossia per farci capire cosa pensa attraverso un codice che noi comprendiamo subito, le lacrime.
Contemplando il volto del Signore che piange e sforzandosi di tenere gli occhi su quel volto, si vede la tenerezza di Dio, la sostanziale tenerezza che lega il Padre e il Figlio: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio” e questo “presso” è un presso di tenerezza, non è una vicinanza qualsiasi e neppure una relazione fredda e ufficiale; è la tenerezza intima che fa di Dio Dio, è il bacio interiore di Dio. Questo è Dio, che sente il bisogno di chinarsi su di noi e raggiungerci con la sua tenerezza.

La nostra cultura è povera dell’arte di piangere come ha pianto Dio. È una cultura dura di cuore: dietro il suo sorriso c’è spietatezza, c’è grande freddezza. Percepisce la sofferenza, se ne lamenta e si ribella. La nostra povera società è una società arrabbiata, triste, ribelle al proprio dolore, non si preoccupa del dolore degli altri, è carente quanto a commozione su chi soffre. Per di più, proprio per una ragione di amor proprio e di superficialità, molti ritengono una debolezza piangere sugli altri, come se appunto tu non fossi neanche capace di vincere un’emozione. “Sii serio, non si piange” non l’ha detto Gesù, lo dicono i super-uomini. In conclusione, la nostra società è spesso molto arida. È invece indispensabile saper piangere per possedere il giusto grado di maturità umana e cristiana.

I cristiani sono buoni, affabili e sorridenti, al momento giusto sanno avere un cuore esattamente come quello di Gesù. E a chi fa il super-uomo o la super-donna, svelando così una grande miseria, se è il caso, amichevolmente, gli dicono che non sa piangere sugli altri. Questo è vangelo. Gesù ci autorizza a dire una cosa simile.
Beati gli uomini e le donne che sanno piangere; sventurati quelli che fanno piangere. E se qualche volta, abbiamo fatto piangere qualcuno, dobbiamo ricordare che si può sempre riparare consolando.


Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

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