Allarghiamo lo sguardo

Pubblicato il 24-12-2022

di Paolo Lambruschi

Da almeno un paio d'anni, in alcune zone del pianeta si è scatenata una tempesta perfetta.
Che vede agire insieme la peste, la guerra e la fame. O meglio, la sete che provoca a sua volta fame, peste e guerre.
Cominciamo dalla peste, sotto forma di pandemia da Covid che ha tutte le conseguenze drammatiche in termini di salute, chiusure e blocchi di scambi commerciali che immiseriscono territori già segnati dalla povertà.

Poi c'è la guerra – se ne stanno combattendo 168 nel mondo, anche se sembra che si combatta solo in Ucraina – che ha un forte impatto sui prezzi dei combustibili e dei fertilizzanti che sono schizzati alle stelle trascinando i prezzi dei generi alimentari. E infine la fame, conseguenza della peste, della guerra e dei cambiamenti climatici che hanno provocato siccità per anni.
Fame provocata da una lunga sete in particolare in alcune grandi aree dell'Africa. Alle quali la CEI a Matera, durante il Congresso eucaristico nazionale ha deciso un doppio stanziamento dai fondi dell’8xmille.
Si tratta di 2 milioni di euro per le comunità agro-pastorali del Sahel e del grande Corno d’Africa e di 4,4 milioni di euro per le popolazioni di India, Sri Lanka, Pakistan, Libano, Siria, Giordania, Iraq e Kenya, realtà in cui guerre, disastri naturali e pandemia hanno innescato o acuito difficoltà umanitarie. Gli interventi nel Sahel e nel Corno d’Africa, sono volti a potenziare i mezzi di sostentamento e garantire la sicurezza alimentare e nutrizionale, specialmente ai minori sotto i cinque anni, alle donne in gravidanza o in allattamento; ad assicurare sistemi di approvvigionamento e conservazione dell’acqua; a sostenere l’agricoltura e l’allevamento; a promuovere la sanità e la pace.
«Questo stanziamento – ha sottolineato il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI – reca un messaggio profondo: non possiamo mai pensarci come isole.
Il sud del mondo non è qualcosa di lontano, che non ci riguarda. Le persone che vi abitano e che si trovano in difficoltà per catastrofi provocate anche dal nostro egoismo sono nostre sorelle e nostri fratelli. Solo se allarghiamo lo sguardo oltre il nostro “io” possiamo percepirci figli dell’unico Dio, famiglia, fratelli tutti».

Allora guardiamo più da vicino la situazione del Corno, una delle zone più povere del mondo, dove la siccità da cambiamenti climatici ha fatto perdere quattro raccolti sommandosi alle atrocità e ai danni della guerra civile nel nord dell'Etiopia che coinvolge le truppe di Addis Abeba e gli alleati eritrei dal novembre 2020.
Poco più a sud, in Somalia, da 30 anni si combatte una guerra civile e un quarto del Paese è controllato dai terroristi islamisti di Al shabaab che vorrebbero trasformare il Corno in un emirato. Secondo le agenzie umanitarie ONU, 30 milioni di persone in quest'area rischiano una grave emergenza alimentare e più della metà – 16,2 milioni – non ha accesso all'acqua per bere, cucinare, lavarsi, irrigare. L'emergenza idrica colpisce 8,2 milioni in Etiopia, 3,9 milioni in Somalia e 4,1 milioni in Kenya, secondo l'UNICEF.

Aldilà delle cifre cosa significa? Che in Somalia e in Etiopia le temperature subiscono innalzamenti costanti come accaduto in Italia la scorsa estate, in più in molte zone costiere da mesi soffia un vento anomalo e fortissimo (110 km/h) che spazza via le nubi e prosciuga piante, ortaggi e pozzi. Molti pozzi nelle oasi si sono prosciugati e ormai sono salinizzati.
Impossibile bere per esseri umani e animali un'acqua simile a quella marina.
Chi beve acqua non potabile rischia malattie che diventano mortali come la dissenteria – soprattutto per donne in gravidanza – e chi la usa per lavarsi rischia infezioni della pelle e oculari perché l'acqua potabile viene frazionata. Ma l'acqua potabile è in vendita in Somalia, non è un bene pubblico, e il suo prezzo in un anno è aumentato del 71%, insostenibile in uno dei dieci Paesi più poveri della Terra.

Anche i prezzi del cibo stanno schizzando, con un'inflazione al 70% in queste aree affette dalla siccità a causa degli scarsi raccolti e della crisi del grano ucraino. Le famiglie faticano sempre più a mangiare e a bere ogni giorno e l'acqua provoca o inasprisce conflitti locali tra agricoltori stanziali e nomadi dediti alla pastorizia, più che mai in lotta per la sopravvivenza. Tutto ciò nel linguaggio burocratico della sanità globale si chiama malnutrizione e ha colpito milioni di persone.

Come se ne esce? Principalmente con aiuti umanitari, quelli che anziché al Corno sono finiti in Ucraina. I fondi sono finiti, occorre provvedere.
Ma servono soprattutto investimenti in tecnologie smart, agili, che consentono di utilizzare energia solare per smuovere macchine escavatrici di pozzi sempre più profondi, per intercettare l'acqua di falda e irrigatori a goccia per risparmiare acqua salvando colture locali come datteri e banane che possono essere rivendute sui mercati. Questo aiuterebbe il popolo del Corno d'Africa a iniziare a risollevarsi.
Non basta, naturalmente, occorre combattere il male della guerra, che nel Corno, nel Sahel e in Asia imperversa per volontà di potenze straniere medie come quelle del Golfo e la Turchia e grandi, come Usa, Russia e Cina, sempre più interessate ad aumentare le rispettive sfere d'influenza sull'Africa e le sue risorse. Soprattutto guerre che fanno vendere armi, il grande business che non conosce crisi in questi anni di recessione. Per combattere le guerre, la fame e la peste bisogna scegliere la pace, investire su tutto ciò che contrasta la guerra.
Investire sullo sviluppo. Il clima impazzito e la guerra sono due stimoli che gli uomini di buona volontà a ogni livello devono cogliere, occorre investire contro la sete per provare a fermare la tempesta perfetta che sta uccidendo milioni di persone nell'indifferenza del mondo.


Paolo Lambruschi
NPFOCUS - Casa nostra
NP ottobre 2022


 

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