Tra paura e speranza

Pubblicato il 27-01-2023

di Fabrizio Floris

La cosiddetta crisi energetica è la conseguenza della guerra, soprattutto in Italia perché circa la metà dell’energia elettrica nazionale viene prodotta bruciando gas (solo il 35% viene prodotto da fonti rinnovabili, poi ci sono percentuali ridotte di carbone, biomasse e importazioni dalla Francia).

Questa dipendenza dal gas ha determinato che il prezzo dell’energia elettrica fosse strettamente correlato al prezzo del gas. Il prezzo dell’energia all’ingrosso da maggio a oggi è pertanto decuplicato ed è in continua crescita: nei prossimi mesi potrebbe essere 20 volte più alto, con il rischio stimato che 9 milioni di italiani possano passare l’inverno al freddo (e al buio). Il prezzo è alto anche perché è basato, come spiega il prof. Gianluca Ruggieri dell’Università Insubria, su un meccanismo di vendita giornaliera dell'energia in base al quale il gestore inizia ad acquistare dai produttori energia da fonti meno care come il solare, per poi passare all’energia idroelettrica, all’eolica e poi da ultimo si passa alla fonte più cara il gas. Alla fine però il prezzo di tutte le fonti energetiche si basa sul prezzo dell’ultimo acquisto quindi sul prezzo più alto. È la conseguenza di un meccanismo deciso nell’ambito della Borsa elettrica, ma, oltre all’andamento reale dei prezzi, vi è quello finanziario. Infatti, vi è una piattaforma per la consegna dei derivati dell’energia: scommesse sui prezzi futuri di qualcosa che non si ha e non si ha intenzione di comprare, ma lo si acquista solo per lucrare sulle differenze di prezzo che possono intercorrere tra un periodo e l’altro.

Eppure i valori di borsa dei titoli delle società come Iren scendono perché i mercati prevedono che le persone non potranno pagare le bollette e quindi la società avrà dei costi in più perché comunque i costi di produzione di energia elettrica e di teleriscaldamento non diminuiscono se si riduce una parte dell'utenza, ma – se diminuiscono le entrate per la morosità o il distaccato degli utenti – l’effetto sarà un ulteriore aumento delle bollette per ripartire i costi di produzione su un numero più piccolo di clienti.

L’effetto reale di questi movimenti si vede nelle periferie come Mirafiori dove interi condomini di 250 famiglie hanno deciso di non far ripartire il teleriscaldamento perché si sono resi conto che non avrebbero potuto sostenere le spese e il debito sarebbe stato insostenibile.
Come spiega il sig. Mario: «L'anno scorso per il riscaldamento pagavo 150€ al mese per 7 mesi adesso l’amministratore ci ha detto che le rate sarebbero state di 456€ al mese così gli abbiamo detto di far mettere i sigilli e chiudere. Non mi sento povero, ma se devo pagare 3.200€ all’anno di riscaldamento non ce la faccio».

In contesti dove vi è alta disoccupazione, precarietà e stipendi modesti la crescita così repentina e significativa dei costi diventa insostenibile. Giulio ha 54 anni, non lavora, ma riceve il reddito di cittadinanza (500€) e al 12 ottobre ha già speso 130€ per le medicine e il cibo, gli è arrivata la bolletta del riscaldamento e dell’affitto dall’Atc (Agenzia territoriale per la casa) di 309€ e racconta che non sa cosa fare «perché se pago mi resterebbero 61€ e dovrei arrivarci a fine mese, ma mancano 19 giorni, come faccio con 3€ al giorno? E poi devono ancora arrivare la luce e il gas».

Il governo ha disposto un ulteriore pacchetto di sussidi (3 miliardi) che fanno salire a 33 miliardi gli aiuti dall’inizio dell’anno. Contributi che, secondo alcuni osservatori, sono da considerare investimenti sottratti alla transizione energetica. Infatti, si tratta di contributi alle fonti fossili e poi è una politica regressiva perché aiuta più i ricchi – che hanno consumi maggiori – dei poveri, e ha effetti dannosi anche dal punto di vista ambientale.

A livello europeo (grazie anche alla spinta del governo italiano) si sta facendo strada l’opzione di imporre un tetto ai prezzi del gas, oltre a una riforma del mercato elettrico che disaccoppi il prezzo dell’elettricità prodotta da rinnovabili (ben più economia) da quella proveniente bruciando gas e fonti fossili. Un insieme di situazioni si sono messe in fila (guerra, dipendenza dal gas, rigidità dell’offerta e della domanda…) e il mercato non è stato in grado di regolare gli eventi anzi per molti aspetti li ha cavalcati con la speculazione.
Secondo il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva: «Per l'economia globale è peggio della crisi finanziaria del 2007-2009 [...]. Il prossimo anno potrebbe segnare una recessione in gran parte del mondo.
È l'ora più buia per l'umanità».

Il punto è che nessuno ha progettato il nostro sistema economico.
Esso è frutto di un’evoluzione complessa dove il capitalismo ha in sé tutto il meglio e il peggio e tali aspetti appaiono per molti inscindibili. Lo sviluppo tecnologico, l’innovazione farmaceutica, i trasporti veloci, la semplicità della comunicazione stanno insieme allo sfruttamento, alle disuguaglianze, alla speculazione, all’impoverimento della terra e del lavoro. Eppure anche in questo ambito si intravvedono dei cambiamenti.
La sfida è pensare all’economia come a un insieme di problemi concreti, che una volta correttamente identificati e compresi, possono essere risolti uno per uno. Non ci sono risposte onnicomprensive.

La buona notizia è che oltre ai problemi esistono anche le soluzioni: migliaia di idee concrete, pratiche, quotidiane per dare spazio al cambiamento. Si pensi, ad esempio, l’esperienza delle comunità energetiche, famiglie, individui, enti pubblici che si mettono insieme per produrre e condividere energia, ma anche socialità e consapevolezza. Come è spiegato nella Laudato si’ è necessario «rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo» infatti, si «può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo […]. Si tratta di aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo» (191).

La seconda sfida è ascoltare le persone le loro aspirazioni, desideri, limiti e capacità. Hanno conoscenze pratiche che nascono dall’osservazione quotidiana e possono essere decisive per risolvere i problemi di tutti. La capacità di aspirare è il seme della democrazia, ma forse questa potrebbe essere la vera crisi che né la fine della guerra, né il prezzo del gas possono risolvere, ma l’amore sì.
 

Fabrizio Floris
NPFOCUS
NP novembre 2022

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