Tra l’apocalisse e il vuoto

Pubblicato il 14-09-2022

di Gabriella del Pero

Da più parti si sente ripetere l’angosciata considerazione: «Ma non bastava essere stati per due anni completamente paralizzati dalla pandemia, perché adesso si aggiungesse anche la tremenda preoccupazione, lo strazio per la guerra tra Russia e Ucraina?». Un interrogativo duro, difficile, che non è certo una vera domanda (dal momento che risposte non possono essercene), ma ha invece il sapore di un grido di sconforto. La guerra è e resterà sempre l’esempio del male assoluto, della cieca distruzione, della morte.

La malattia è anch’essa evocatrice della concreta possibilità della fine della vita. In entrambi i casi sappiamo benissimo, quindi, di parlare di eventuali strade senza ritorno, di vie senza sbocchi sicuri, di un tempo senza un futuro garantito. Si tratta certo di eventi “straordinari”, cioè che ci sembrano davvero avvenire in un mondo, in una sfera che è ben al di là delle nostre ordinarie esistenze quotidiane, fatte di abitudini, azioni semplici, ripetitive, di normali routine insomma. Ma le esperienze traumatiche – anche quando non ci coinvolgono subito e direttamente in prima persona – hanno proprio il potere di farci improvvisamente percepire lo “straordinario” come reale, vicino e possibile. La nostra mente oscilla in continuazione tra la stabilità dell’immagine della vita personale di tutti i giorni (lavoro, casa, scuola...) e l’affacciarsi imprevisto delle immagini catastrofiche della guerra che giungono continuamente ai nostri occhi da ogni mezzo di comunicazione.

A volte l’alternarsi di immagini così diverse e contrastanti è talmente rapido da sembrare assurdo, surreale, come l’improvviso comparire della pubblicità di un prodotto di bellezza o di un’auto di lusso nel bel mezzo di un programma televisivo che sta portando nelle nostre case volti distrutti dal dolore e senza più lacrime, feriti senza soccorsi, fosse comuni, lanci di missili, colonne di fumo e carri armati devastati dalle fiamme. Come si fa a passare istantaneamente dall’orrore alla banalità, senza sentirsi storditi? Come si transita in pochi secondi da uno stato d’animo colmo di angoscia e raccapriccio a uno che dovrebbe basarsi sulla serenità o almeno sulla normalità? È giusto essere catapultati da un’amara riflessione sorta davanti a uno scenario apocalittico a una sensazione di vuoto totale? Eppure sono due livelli che nelle nostre giornate coesistono e la loro compresenza spesso ci sgomenta. Si può trovare un minimo di equilibrio tra tante sollecitazioni di segno diametralmente opposto?

Non è facile, come dimostrano le tantissime segnalazioni di bambini, giovani e anche adulti che stanno decisamente male, accusano malesseri e sintomi di tutti i tipi, senza che vengano in effetti diagnosticate malattie di alcun genere. «Non so proprio cosa dire...non ho più parole, non le trovo più nella testa... ci sono solo tanti pensieri che non capisco. E che vanno e vengono senza che io possa fermarli» (Sofia, 13 anni). «Di notte mi sveglio tante volte e ascolto... cerco di sentire se ci sono dei rumori strani, che non ho mai sentito. A volte mi pare che scoppi qualcosa da lontano e allora ho tanta paura» (Matteo, 7 anni). «Mia mamma accende e spegne la televisione tutto il giorno, non so se la guarda davvero o no, forse cerca delle notizie che non ci sono» (Davide, 5 anni e mezzo). «Quando verranno le bombe noi scapperemo in cantina, ma io ho paura che ci sono i topi!» (Annalisa, 3 anni). «Non posso stare a scuola e studiare poesie o fare gli esercizi di inglese o tutto il resto...eppure ci sto. A cosa mi serve? Non so cosa ci sarà per noi domani...ho tanta paura» (Martina, 15 anni).

Non è facile, ma dobbiamo trovare insieme il modo più sano di restare in contatto con la realtà tutta intera, con la coscienza delle tragedie e con il radicamento in ciò che ogni giorno può darci ancora sicurezza. La paura si combatte con le armi che portiamo nel cuore.


Gabriella Delpero
NP maggio 2022

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