La meglio educazione
Pubblicato il 17-09-2023
Abbiamo ricordato solo alcune settimane fa il centenario della nascita di don Lorenzo Milani (che venne infatti alla luce a Firenze il 27 maggio del 1923). Molti sono e saranno quest’anno in Italia i momenti celebrativi ufficiali e quindi anche le occasioni per conoscere, rileggere e approfondire una figura di sacerdote ed educatore tanto singolare quanto interessante e indubbiamente attuale.
Approfittiamone. Anche perché non poche e spesso palesemente contrastanti sono le letture del suo pensiero e della sua eredità spirituale e culturale che si sono susseguite nel tempo: per questo insegnanti, educatori e genitori di oggi dovrebbero studiare ancora i suoi scritti, la sua storia, le testimonianze di chi lo ha conosciuto personalmente, soffermarsi a riflettere con un po’ di attenzione sulle sue parole, spesso provocatorie e scomode e proprio per questo così stimolanti ed efficaci. Abbiamo infatti tutti bisogno di nuove occasioni per ripensare a fondo al senso, al ruolo e allo scopo dell’educazione oggi, soprattutto alla luce delle enormi difficoltà ed evidenti fragilità mostrate così spesso dalle nuove generazioni. Occorre continuare a chiedersi: noi adulti di oggi cosa riusciamo ancora a trasmettere ai nostri bambini e ragazzi? Come dice papa Francesco «mi sembra che siamo circondati da una cultura che, se da una parte idolatra la giovinezza cercando di non farla passare mai, dall’altra esclude tanti giovani dall’essere protagonisti. È la filosofia del trucco. Le persone crescono e cercano di truccarsi per sembrare più giovani, ma i giovani non li lascia crescere». Detto in altro modo, noi adulti-educatori siamo davvero “adulti”, quindi capaci di cura, responsabilità, fecondità, donazione di sé, amore vero nei confronti delle generazioni che ora vengono al mondo? Oppure – come alcuni recenti studi e inchieste sembrano ormai dimostrare – nel contesto occidentale siamo adulti troppo autocentrati, unicamente preoccupati di mantenerci giovani e sani, di soddisfare i nostri desideri e realizzare le nostre aspirazioni, tanto da dimenticarci che siamo fatti per gli altri? E che lo scopo della nostra vita non siamo noi stessi e il nostro compimento, ma quel che possiamo fare per contribuire al bene altrui e quindi anche a quello dei giovani?
D’altra parte c’è chi invece si domanda se i nostri giovani siano realmente disposti a tirar fuori, a sfruttare in modo positivo, a mettere davvero in gioco quella speciale energia, quella dinamicità, quella sete di autenticità e di infinito, quella voglia di novità e di gioia, quel desiderio di protagonismo che tipicamente caratterizza (o dovrebbe caratterizzare) la loro età. Oppure se siano ormai così “narcotizzati” dalla sovrabbondanza di beni materiali e di agi e comodità di ogni tipo forniti dagli adulti e di cui possono gratuitamente godere fin dalla nascita, da diventare troppo vulnerabili alle frustrazioni, poco pronti ad affrontare la realtà e incapaci di prendere in considerazione l’ipotesi di doversi a loro volta impegnare e affaticare, almeno per conservare ciò che altri in passato hanno conquistato o costruito a caro prezzo. Insomma, la colpa è più dei “grandi” che nel frattempo non sono diventati adulti o più dei “piccoli” che preferiscono rimanere bambini a vita perché è più comodo che provare a crescere? Posta in questo modo, è chiaramente una domanda che non può avere una risposta, o almeno non una risposta netta: la questione è infatti molto delicata, rilevante e terribilmente complessa. Non può essere sintetizzata riducendola a due sole alternative. Di solito, invece, noi preferiamo semplificare le cose dividendole, piuttosto che sopportare la fatica di tenerle insieme nella nostra testa in attesa che i pensieri si facciano più limpidi. È una tentazione che porta spesso a conclusioni affrettate e a superficialità nei giudizi. Meglio piuttosto continuare a osservare ciò che ci accade intorno per poterlo analizzare e raccontare e magari intuirne le conseguenze.
Gabriella Delpero
NP giugno / luglio 2023