Sgomberare la vita

Pubblicato il 13-02-2024

di Fabrizio Floris

È un giovedì mattina quando, dopo l’ennesimo invito dei vigili a sgomberare, al sig. Carlo non resta che allontanarsi con il suo giaciglio dal giardinetto che ha stabilito come casa nell’ultimo anno. Il suo amico Cristiano aveva rivolto un appello alle istituzioni per procedere verso uno spostamento concordato e non uno sgombero sine die, ma senza ricevere nessuna risposta. Si sgomberano le cantine, non le persone.

La lingua fornisce una prima indicazione di vicende come questa: facendo diventare il clochard una non-persona la si può sgomberare come un oggetto. La ragione sta nella definizione di decoro (dal latino decor, che ben si addice, traducibile in italiano con il termine dignità) la cui violazione trasforma, come scrive Giulia Fabini, le persone «in vere e proprie fattispecie di reato». Non è decoroso dormire all’aperto, lasciare cartoni e coperte per strada, bisogna andare al dormitorio. Da 30 anni la politica per le persone senza dimora resta incagliata nel binomio dormitorio-emergenza freddo, una misura univoca che, di fronte a un problema multidimensionale, lascia inevitabilmente fuori tutti coloro che hanno problematiche rispetto alle quali il dormitorio non rappresenta una soluzione, ma un ulteriore problema. Viene da chiedersi se sia decoroso vivere in una città, come Torino, tra le più inquinate d’Europa, se sia decoroso che in una grande città non ci sia un servizio di psichiatria di strada, se rientri nel decoro la chiusura di servizi sociali, biblioteche, piscine, lasciare decine di spazi pubblici all’abbandono oppure lasciare in bella vista edifici diroccati? Il fatto è che, spiega un volontario: «I governi sono come macchine». Infatti, il vigile dice a Carlo: «Niente di personale, sono solo ordini da eseguire». Un ordine che relega Carlo allo stadio minimale di vita nuda che è al limite della sopravvivenza biologica. Deve spostarsi, ma è continuamente braccato, deve vivere sottozero solo con il corpo, lasciare che l’azienda municipale dei rifiuti butti via materasso e coperte, sopravvivere al freddo con solo quello che può mettersi addosso. La sua diventa così una vita indefinita, randagia, che cerca di sopravvivere ogni notte e ogni giorno alla morte. Eppure rifiuta qualsiasi tipo di intervento pubblico che gli viene proposto per conservare il corpo.

Ci vorrebbe dell’invisibilità, della grigia pietrosità, e, ancor meglio, dell’inesistenzialità. Qualcuno che vada incontro, rassicuri e protegga. E insieme a Carlo siano come alianti che «scendendo, salgono».


Fabrizio Floris
NP gennaio 2024

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