Senza pace

Pubblicato il 14-01-2024

di Paolo Lambruschi

Nel cono d’ombra delle guerre della Striscia di Gaza e dell’Ucraina (già relegata a guerra dimenticata), si affaccia l’ombra di un nuovo conflitto nel Corno d’Africa. In particolare, dopo un discorso della metà di ottobre in cui il premier etiope Abiy Ahmed rivendicava per l’Etiopia il diritto di avere uno sbocco al mare . Dopo la risposta gelida opposta dall’Eritrea, i segnali di guerra sono apparsi evidenti. L’Eritrea è infatti diventata indipendente nel 1991 dall’Etiopia e ha portato con sé i porti di Assab e Massawa: da allora l’Etiopia è il più grande Stato land locked – cioè chiuso al mare – del mondo. Ed era proprio la ragione del presidente del Consiglio etiope che ha rivendicato per l’Etiopia un diritto naturale ad avere lo sbocco sul Mar Rosso, dove passa la nuova versione della via della seta cinese, nella quale Pechino ha investito miliardi di dollari di cui Addis Abeba ha bisogno per lo sviluppo. Anche perché non c’è un grande traffico commerciale in Eritrea, Paese che da almeno 20 anni si è chiuso in una dittatura nazionalista e maoista che non rispetta libertà e diritti civili, privilegia le guerre e ha trasformato i porti in basi militari.

Alla fine di novembre gli scambi di battute, a cui sono seguite rassicurazioni verbali, sono diventati dei movimenti di truppe al confine e sorvoli di aerei militari. L’Etiopia e l’Eritrea hanno già combattuto una guerra fratricida dal 1998 al 2000 per risolvere con le armi la questione dello sbocco al mare e dei confini.

Poi è seguito un lungo periodo di gelo in cui il governo etiope, che era guidato dai leader tigrini, aveva interrotto ogni relazione e l’Eritrea era stata sottoposta a un duro embargo internazionale, perché accusata di vendere armi ai terroristi jihadisti in Somalia. Con l’arrivo al potere di Abiy Ahmed è tornata la pace e lo stesso premier è stato immeritatamente premiato con il Nobel nel 2019, proprio per aver riallacciato le relazioni diplomatiche con il regime di Isaias Afewerk.

Ma questa alleanza era prodromica all'eliminazione dei leader tigrini, nemici giurati di entrambi, e il 4 novembre 2020 è scoppiata una guerra terribile in Tigrai che ha provocato più di 600mila morti. La regione è stata messa a ferro e a fuoco da eritrei, esercito etiope e milizie regionali Amhara e sono stati commessi migliaia di stupri etnici e crimini contro i civili. La pace di Pretoria siglata un anno fa non ha però soddisfatto gli eritrei che stanno continuando a occupare una parte del territorio del Tigrai (cioè dell’Etiopia) e si sono alleati con gli Amhara contro Addis Abeba. Abyi ha rilanciato la carta dello sbocco al mare per ricompattare il Paese, ma è un rilancio pericoloso, in una zona segnata oltre che dai conflitti interni etiopi di natura etnica, dalla guerra civile somala e da quella sudanese.

Se dovesse esserci una guerra si scatenerebbe su due nazioni, Eritrea e Etiopia, impoverite da guerre, persecuzioni e conflitti climatici che stanno portando carestie e malattie e a cui si aggiungerebbero morte e distruzione ulteriori. Nel frattempo il regime dittatoriale di Asmara è sempre più rigido, arruola a forza le persone, sta perseguitando i dissidenti da anni imprigionandoli a vita ed è arrivato anche a perseguire la Chiesa cattolica, arrestando un vescovo un anno fa. In questo Paese senza libertà, persino ai calciatori è proibito uscire dai confini per paura che fuggano all’estero, tanto che l’Eritrea ha deciso di ritirare senza preavviso la propria squadra di calcio dalle qualificazioni alla Coppa d’Africa e ai mondiali, scatenando la grande delusione degli sportivi eritrei, già grandi tifosi di ciclismo. Sarebbe incredibile se fosse il granello di sabbia che blocca finalmente un ingranaggio politico repressivo e arrugginito che vive scatenando conflitti.


Paolo Lambruschi
NP dicembre 2023

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