Il valore della vita

Pubblicato il 16-09-2022

di Giorgio Ceragioli

Se la vita è legata a un progresso quantitativo e qualitativo, la vita di ognuno, e perciò anche quella dei poveri, allora vale la pena impegnarsi per lo sviluppo per aumentare quantitativamente la vita. Questo può essere il primo passo. Il secondo, conseguente al primo, parte dalla constatazione che la vita ci è stata donata con una quantità di spreco enorme.

Si ha la sensazione che chi ci ha creato abbia usato le mani bucate. Si potrebbe benissimo amare, credere in Dio, cercare la serenità con molte meno stelle, con 50mila specie al posto di 500mila... Questo pensiero, un po’ strano e velato di romanticismo, porta a una seconda indicazione: nel mondo c’è una enorme quantità di vita potenziale, cioè noi siamo stati creati e messi in un mondo che ha in sé una enorme potenzialità di vita persino poco sfruttata. Le potenzialità di vita umana in realtà sono grandissime, a causa di questo “spreco” (spreco naturalmente inteso in senso buono) e di questa grandiosa profusione di vita nel mondo. Allora la vita non solo è necessaria, ma la vita è credere nel mondo e averne una coscienza positiva, credere che le cose create e che abbiamo a disposizione abbiano un senso al di là del loro essere.

La vita, perciò, non è solo necessaria per la realizzazione dell’uomo, ma ha probabilmente un valore in se stessa. Per questo crediamo nella vita e nelle attività che facciamo per promuoverla, non solo perché servono a qualcun altro, ma perché fanno parte della nostra vocazione, del nostro essere uomini, del nostro senso su questa terra.

Questa idea viene proprio dalla sensazione di “spreco”: l’enorme quantità di cose che esiste non può essere collegata solamente a una strumentalità per pochi o per molti uomini, ma deve avere un significato in se stessa, un senso propositivo e progettuale, un valore ottimista e creativo.

da “Progetto” (ora “NP”), 1992, n. 4


Giorgio Ceragioli
NP maggio 2022

 

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