Accogliere il nostro prossimo

L’accoglienza va vissuta concretamente come un fatto gioioso, significativo e non come un sacrificio. L’accoglienza concreta della persona malata, perciò, è sapere che la malattia da una parte è una menomazione che dovremo cercare di combattere, ma dall’altra parte non intacca il valore di quell’uomo che è malato; anzi, forse lo trasfigura.

L’accoglienza concreta di quegli uomini, quei bambini, quei ragazzi ai quali ci avviciniamo con difficoltà, perché abbiamo ripugnanza, perché rischiamo di non capire che in essi c’è vita apparendo ai nostri occhi solo tronchi vegetali, è manifestare il significato più profondo dell’accoglienza, perché sono una testimonianza della vita, una testimonianza di Gesù che è in loro come Gesù creatore prima che come Dio sofferente e salvatore. L’accoglienza concreta degli altri è pertanto credere che hanno lo stesso valore che ho io, malgrado la malattia, malgrado l’ignoranza, malgrado le difficoltà di ogni età, malgrado il carcere, la droga, la solitudine, lo sconforto. L’esempio oggi più significativo di questa vita che deve essere aiutata, che deve essere trovata, accolta nel prossimo è probabilmente nelle situazioni gravi dei Paesi in via di sviluppo, perché alle difficoltà di accoglienza del nostro prossimo vicino, si assommano le difficoltà della povertà strutturale di questi Paesi che si trovano in difficoltà enormi.

Credo che uno degli eventi più significativi per cercare di vedere le differenze e accoglierle, sia vedere le povertà, accettare e accogliere le difficoltà per cercare di superarle, perché l’accoglienza al nostro prossimo sia un’accoglienza gioiosa ma costruttiva, gioiosa ma impegnata, capace di donare e di donarsi, capace di fare delle cose concrete. Molte cose concrete cui tutti siamo in grado di dare vita se impariamo a crescere nell’amore e se ci impegniamo per prepararci ad affrontarle.

Giorgio Ceragioli
da “Progetto” (ora “NP”), 1992, n. 9