Dopo il terremoto

Pubblicato il 16-01-2022

di Mauro Palombo

È il 14 agosto 2021: un terremoto di 7,2 gradi della scala Richter devastava la penisola meridionale di Haiti. 2.200 le vittime, 137.500 case e 900 scuole distrutte o danneggiate. Le emergenze del mondo ormai diventano nostre nel momento in cui si approssimano, minacciose, ai nostri confini. La lunga e disastrosa emergenza di Haiti, dopo una breve e distratta copertura mediatica dell'ultimo terremoto nell'estremo sud del Paese, è tornata di attualità solo col respingimento di una folta colonna di disperati, che erano riusciti ad arrivare sul munito confine sud degli USA.

Haiti sempre più una matassa di drammi ben intricata in un'isola da secoli spartita in due dalle potenze coloniali; la metà ad est oggi è meta turistica, l'altra, la repubblica di Haiti, è evitata dai più. Come si è arrivati a questo punto? La storia raramente fa sconti, e qui è stata particolarmente dura. Dopo la deportazione di milioni di africani nelle piantagioni, più di due secoli fa si realizzò la prima, violenta, esperienza di decolonizzazione al mondo; con però l'immediata messa al bando della neonata “repubblica di schiavi”, molto invisa alle potenze del tempo.
Da allora non molto è cambiato. Il Paese è estremamente fragile. Politicamente esposto ad ogni influenza esterna, e a lungo governato da regimi feroci, anche ora è preda di lotte tra fazioni, con un presidente da poco assassinato, ed uno Stato assente. Mentre bande armate controllano ampie zone del territorio, rendendovi la vita ancora più difficile. In questo scenario di debolezza e abbandono, i ricorrenti cicloni e sismi si aggiungono a deprimere le misere condizioni di vita di un Paese tra i più poveri del mondo.

Ci si può, a ragione, chiedere: e allora dov'è la speranza? È nel cuore umano, ben radicata. Nel desiderio di vita della gente, semplice; nella forza della vita. Nella “santa follia” di chi anche qui fa sua vocazione vivere la speranza, e portarla dove non c'è. Cercando soluzioni, nonostante tutto e tutti. E nel sostegno di tutti coloro che, come possono, condividono questa avventura davvero al limite.

Come Sermig siamo da lungo tempo a fianco della presenza degli amici padri camilliani, che operano nel campo dell'assistenza sanitaria – con un grande ospedale a Port au Prince, una clinica in apertura a Jèremie, epicentro del terremoto, e altre iniziative.
Nella gestione dell'emergenza, le strutture sanitarie sono state subito utilizzate per l'accoglienza e la cura gratuita di traumatizzati e ammalati. Così come scorte di materiale sanitario, prodotti di prima necessità, alimentari, sono state prontamente inviate verso le zone colpite ed è stata direttamente curata la loro distribuzione. I primi aiuti ricevuti hanno sostenuto altri acquisti di materiali e beni essenziali, gestendo poi il loro utilizzo sul campo, cercando di raggiungere i villaggi in montagna, a lungo isolati.
Abbiamo quindi intensificato la raccolta di farmaci e materiale sanitario che stabilmente già svolgiamo per i servizi dei camilliani, e di alimentari, che raggiungeranno Haiti via il consueto flusso di container.
Siamo anche impegnati con decisione nella raccolta di risorse, per sostenere lo sforzo, già iniziato, di ricostruzione. Di case, secondo un modulo funzionale ma a costo sostenibile. E, come ci dice il padre Antonio, di scuole: «La prima cosa è la costruzione di una scuola, proprio perché nella scuola i bambini trovano casa, istruzione, la possibilità di mangiare una volta al giorno e perché in un Paese così l'istruzione è fondamentale. Anche se c'è la fame, è importante dare coscienza alla gente, al popolo e a quelli che verranno che veramente sono loro i protagonisti della loro vita e sono loro che devono cambiare radicalmente le sorti di questo poverissimo Paese».
Ricostruire strutture, ma anche cercare di ricostruire qualcosa di una comunità.


Mauro Palombo
NP ottobre 2021


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