Congo

Pubblicato il 25-03-2023

di Fabrizio Floris

Tempo di uccidere scriveva Flaiano a proposito della guerra in Etiopia del 1936, ma adesso in Etiopia c’è la “pace” e in Congo persiste la guerra: sembra che in Congo sia sempre tempo di uccidere. A partire dal XVIII secolo gruppi di pastori tutsi hanno iniziato a stabilirsi in Kivu, nel territorio di Mwenga, dove i capi locali concessero loro l'uso dei pascoli.

Già prima della divisione coloniale sancita dalla conferenza di Berlino del 1884- 1885, clan composti sia da hutu che da tutsi vivevano nella regione di Rutshuru, a Walikale, a Goma e nel massiccio del Masisi (attualmente la popolazione di origine ruandese in Congo è di circa 3 milioni di persone molte delle quali vedono i gruppi ribelli come eserciti di liberazione).
In sintesi storia, demografia e cultura si sono intrecciate e scontrate in questi territori e la scoperta di sempre nuove ricchezze nel sottosuolo ha aggiunto ulteriore complessità.

Ma l’effetto più deflagrante è avvenuto nel 1994 con l’afflusso di rifugiati tutsi e hutu fuggiti dal genocidio del Ruanda: il Congo è diventato un luogo di transfert della contesa ruandese a cui si sono aggiunte e sovrapposte altre tensioni (Uganda) e gruppi di guerriglia sia indipendenti, sia sostenuti in modo incrociato dai Paesi confinanti finalizzati al controllo delle enormi risorse minerarie delle provincie del Kivu e dell’Ituri.
La violenza nel corso di questi anni è stata una costante con picchi e livelli diversi, ma, da quando è stato decretato lo stato d’emergenza e la legge marziale, i morti e gli episodi di violenza sono raddoppiati.

«Sono ammazzati come le bestie – racconta un dottore nato nella regione che chiede di rimanere anonimo – in Congo non c’è più da sperare, i volti della gente sono spenti, atterriti, non c’è più la felicità tipica dei villaggi africani, l’entusiasmo per l’ospite, la gioia dell’altro.
L’abitudine qui è vedere morti sparsi per le strade».

Le violenze sono una cronaca quotidiana, ma si sono ulteriormente inasprite a partire da maggio 2022 quando il Movimento 23 marzo (M23), filo ruandese tutsi, ha avviato un’offensiva che l’ha portato a controllare parti sempre più ampie di territorio, uccidendo e sfollando decine di migliaia di persone.
Ma la domanda che sta dietro a questi fatti è perché? La violenza è un effetto, ma qual è la causa?
L’M23 sostiene che gli attacchi derivano dal mancato rispetto del governo congolese di reintegrare i militari dell’M23 nell’esercito congolese.
Poi si parla della necessità di difendere i tutsi che vivono in Congo e di rivalità commerciali tra Kigali e Kampala dovute al desiderio di controllare le vie di comunicazione per far passare nei rispettivi Paesi coltan, oro e terre rare.
Sarebbero queste le motivazioni all’origine della ripresa dei combattimenti dell’M23.

I recenti incontri tra i ribelli dell’M23 e l’esercito congolese segnalano che un processo di pacificazione è possibile biso na biso (tra di noi) perché per la gente non è più né mai tempo di uccidere.
 

Fabrizio Floris
NP gennaio 2023

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok