Un continente, il nostro destino

Pubblicato il 15-11-2022

di Paolo Lambruschi

È cominciata da tempo la corsa all'Africa e alle sue preziose risorse. E se prima della guerra in Ucraina questa sembrava essere, nella visione distorta di diversi governanti europei, un ripiego per l'Occidente, spesso solo un problema di sicurezza, al più una riserva di minerali, di combustibili fossili e di braccia da sfruttare, oggi appare chiaro a tutti che l'Africa è il continente del nostro destino.

La miopia europea (e italiana) degli ultimi 30 anni verso il grande continente africano che nasce nel Mediterraneo e si allunga verso il Polo Sud è un grosso handicap. L'assenza europea – con l'esclusione della Francia fin troppo presente nelle sue ex colonie – sappiamo essere stata colmata in questo secolo prima dalla Cina, poi dalle monarchie del Golfo e infine da Russia e Turchia. Il minimo comune denominatore di questi nuovi padroni, che hanno costruito in sostanza infrastrutture in cambio della cessione di risorse naturali, è stato il totale disinteresse verso la democrazia e il rispetto dei diritti umani e civili.

E questo piace a molti governi africani che invece, quando trattano con UE, Stati Uniti e Canada, si vedono vincolata l'erogazione degli aiuti allo sviluppo al rispetto almeno formale delle minoranze, degli oppositori e della libertà di parola. Certi palazzi presidenziali vivono questi vincoli come una ingerenza e accusano (non senza ragione) le cancellerie occidentali di ipocrisia, dato che non brillano certo in accoglienza e rispetto dei diritti a casa propria quando si tratta di migranti africani. Il voto favorevole alla Russia o l'astensione di molti Paesi africani alle assemblee Onu, quando si discuteva di sanzionare Mosca per la guerra in Ucraina, si spiega, però, non solo con questa allergia per USA e alleati e la democrazia. O con la vecchia collocazione geopolitica in area sovietica ai tempi della Guerra fredda. Entra in ballo nei Paesi più poveri anche la dipendenza dal grano e dai fertilizzanti ucraini e russi, che fino a fine luglio sono stati bloccati, generando inflazione e aumenti vertiginosi dei prezzi dei generi alimentari, già alti per la siccità da mutamenti climatici. Questo può portare l'Africa in un campo anti occidentale e filo russo o filo cinese? Non è il modo corretto di interpretare i fatti. Meglio mettersi nei panni di diversi Paesi africani. In Somalia ad esempio, tuttora infestata dai terroristi qaedisti di Al Shabaab, nonostante siano stati persi quattro raccolti per siccità, sia afflitta dalla peggiore carestia degli ultimi 40 anni (che ha già ucciso centinaia di bambini e ha messo a repentaglio la vita di 8 milioni di somali) sono arrivati solo il 4% degli aiuti previsti dalle Nazioni Unite. Dov'è finito il restante 96%? In Ucraina. Logico che un tour promozionale (e propagandistico) della pace come quello messo in atto dalla Russia trovi consensi.

Ma perché dall'altra parte non ci sono state iniziative altrettanto eclatanti. Certo, gli USA in Somalia gli aiuti li hanno raddoppiati, Bruxelles no. Non si tratta di togliere solidarietà al popolo ucraino, il problema è non dimenticare l'Africa messa in ginocchio dalla combinazione diabolica di Covid, guerre e mutamenti climatici. Se aggiungiamo la corruzione e la cosiddetta maledizione delle risorse, che condanna gli abitanti di una terra ricca a subire saccheggi e guerre, i criteri di valutazione e le logiche di schieramento cambiano. L'UE può invertire la rotta rinunciando, ad esempio, a un decimo delle spese in armamenti e riconvertendole in aiuti allo sviluppo. Aratri anziché spade, medici e agronomi anziché carri armati. La strada della pace porta lontano, l'UE può insegnare con la propria storia che democrazia e diritti non sono pesi, ma ali per viaggiare più veloci.


Paolo Lambruschi
NP agosto / settembre 2022

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