#ricuciamo

Pubblicato il 10-09-2020

di Chiara Genisio

Parte nel carcere di Bollate la prima produzione industriale di mascherine certificate.
Non un lavoro artigianale come sta accadendo in vari istituti penitenziali sparsi per tutto il Paese, ma l’anticamera di quello che potrebbe diventare un vero e proprio polo industriale.

Alla presentazione dell’avvio del progetto, avvenuta a fine maggio, era presente anche il rappresentante dell’ufficio delle Nazioni Unite per la lotta alla droga e al crimine in Messico, Claudio La Camera, interessato a sperimentare questa iniziativa anche a Città del Messico.
«Ci auguriamo che quello di Bollate possa diventare un vero e proprio polo industriale, ora di mascherine e, certamente domani, per altro. Qui avremo mascherine originali e certificate.

Si tratta di un esempio da replicare il più possibile», ha rimarcato il capo del Dap, Bernardo Petralia.
Le prime due macchine sono arrivate dalla Cina, dove sono state sottoposte per settimane a rigorosi collaudi e severi stresstest svolti da personale specializzato italiano inviato per mettere a punto l’esatta taratura su campioni di tessuto-non-tessuto fatti giungere dall’Italia.

Sono state installate ed è quindi stato avviato il ciclo produttivo che, a regime, consentirà la realizzazione di 100mila mascherine al giorno per ciascuna macchina.
L’istituto milanese di Bollate da anni si contraddistingue per la capacità di progettazione e di impegno verso l’occupazione dei detenuti. Una sensibilità che non trova casa in molti altre carceri italiane. Lo testimonia il XVI rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione.

I dati sono riferiti al 2019, ma non è cambiato molto in questo primo semestre 2020.
L’identikit del “detenuto tipo” tratteggia un uomo con bassa scolarità, che lavora poco e non è sufficientemente formato.
Alcuni numeri: al 31 dicembre 2019 erano 18.070 i detenuti coinvolti in un’attività lavorativa, anche solo per poche ore settimanali, vale a dire il 29,74% del totale delle persone recluse. Molto di rado la percentuale ha superato il 30% negli ultimi dieci anni.

La stragrande maggioranza era impiegata dalla stessa Amministrazione Penitenziaria (86,82%), essenzialmente in servizi di istituto (82,3% di questa quota) legati alla pulizia, alla consegna dei pasti e ad altri piccoli incarichi. Il 4,5% delle persone alle dipendenze dell’Amministrazione era impegnata in lavorazioni interne (prime tra tutte sartoria, falegnameria e assemblaggio componenti vari), l’1,1% in colonie agricole, il 7% in compiti di manutenzione del fabbricato e il 5,1% in servizi esterni ex art. 21 dell’Ordinamento Penitenziario.

Chiara Genisio
NP giugno / luglio 2020

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