Noi gente comune

Pubblicato il 14-07-2021

di Giorgio Ceragioli

Ancor oggi mi stupisce, mi inquieta, mi irrita il moralismo di chi condanna senza nessuna comprensione; di chi vuole far "piazza pulita" dei disonesti, credendosi rigorosamente fuori della mischia, di chi si atteggia a salvatore della patria, senza pensare ai suoi errori di ieri e di oggi. O è ingenuo, o è pazzo, o è in malafede, o è come i farisei di secoli addietro.

Mi stupisce l'orgia di moralismo verso gli altri, quando tutti, nella nostra storia privata, non possiamo che trovarci peccatori. E mi stupisce la rigidezza delle accuse, sanzioni, pene che si vogliono comminare a chiunque sbaglia. Come se l'uomo potesse non sbagliare. E mi stupisce la cultura che si chiede agli altri, la capacità professionale che si chiede agli altri, l'impegno che si chiede agli altri, senza riserve, senza possibilità di appello, senza accettare qualche smagliatura. Voglio la rovina dei principi morali? Tutt'altro. Vorrei che il principio più grande, quello dell'amore, prevalesse sulla vendetta, rendesse la nostra società più vivibile, più umana, più corrispondente alle nostre reali possibilità.

Ritengo che la società che vuole troppa giustizia uccida la carità. Se il Signore ci ha dato un talento ce ne chiede uno solo, e non cinque come deve dargli il superdotato. Credo che la società avrebbe un grande vantaggio a non affidare senza appello responsabilità che nessuno può garantire di essere in grado di assumersi, perché l'uomo non può aver la certezza di non sbagliare. E credo che si avrebbe più sviluppo e più ordine, che le cose funzionerebbero meglio se si cercasse di oltrepassare i rigidi vincoli di normative in continua proliferazione: normative che finiscono di soffocare al posto di aiutare, di distruggere al posto di costruire una società più vivibile per tutti.

Giorgio Ceragioli
da "Progetto" (ora "NP"), 1982, n. 2

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