L'attualità di Mattei

Pubblicato il 28-04-2023

di Paolo Lambruschi

Enrico Mattei, ucciso sul suo aereo privato il 27 ottobre 1962 in uno dei tanti misteri italiani del secolo scorso, aveva un progetto preciso in mente.
Voleva rendere l'Italia indipendente dal punto di vista energetico, valorizzando al massimo la sua posizione nel centro del Mediterraneo e all'imbocco dell'Europa, che allora era solo un piccolo mercato comune.

Il progetto prevedeva il pagamento da parte dell'ENI, di cui era presidente dopo esserne stato tra i fondatori, del 75% degli introiti ai Paesi produttori per avviare una cooperazione paritaria e favorire lo sviluppo del Medio Oriente e del continente africano. In Algeria, che aveva appena conquistato l'indipendenza dalla Francia, l'ex partigiano cristiano iniziò a mettere in pratica le proprie idee d'avanguardia che, nel mondo diviso in due blocchi di 60 anni fa, lo portarono alla morte nell'esplosione del piccolo velivolo che lo portava dalla Sicilia a Milano, vittima di un intricato complotto che vide alleate la mafia, i servizi segreti francesi e americani e forse italiani e una parte del suo stesso partito, la DC danneggiati dal suo progetto definito con disprezzo "terzomondista". Queste almeno sono le conclusioni cui sono giunti giornalisti, storici e registi che hanno provato ad affrontare negli anni il caso Mattei. E Piano Mattei è stato ribattezzato dalla premier Giorgia Meloni il progetto strategico del governo italiano per rendere l'Italia autonoma dal gas russo, attingendo alle risorse dei produttori africani. Piano già avviato con meno enfasi dal governo tecnico di Mario Draghi, ma che è partito ufficialmente nella seconda decade di gennaio in Algeria.

Vedremo quali saranno i benefici reciproci, ma intanto in Africa – come abbiamo più volte ripetuto – la corsa ai grandi giacimenti minerari, di energia e di corridoi commerciali da parte di vecchi e nuovi attori è partita da un pezzo. Noi europei, in particolare noi italiani, siamo stati fermi e assenti troppo a lungo. La prova di questa nuova corsa all'Africa è l'intensa attività diplomatica di USA e Cina in ogni angolo del continente, la sostituzione con mercenari russi delle truppe francesi in Mali e Burkina Faso, Stati chiave per la lotta al terrorismo jihadista e ai flussi migratori che gli estremisti controllano per finanziarsi. La presenza in Libia dei turchi, contrapposti agli egiziani alleati con i russi. E la presenza cinese nel Corno d'Africa, dove tanti parlano ancora italiano e reclamano la presenza di Roma, che ora Washington vuole pacificare per sottrarre Etiopia, Somalia, Eritrea e Sudan all'influenza commerciale e politica di Pechino.

In questo intreccio complicato viene da domandarsi cosa vogliono e cosa pensano gli africani. Sono perlopiù vittime della maledizione delle risorse, la quale prevede che un popolo che vive in una nazione ricca di una risorsa venga escluso dal godimento dei legittimi proventi.
Sono colpiti da carestie provocate da siccità e inondazioni dovute a sconvolgimenti climatici cui hanno contribuito solo per il 4%, dunque provocate dal resto dell'umanità. Hanno affrontato il Covid e la conseguente crisi economica con pochi vaccini e ora sono ulteriormente impoveriti dalle conseguenze economiche della guerra tra Russia e Ucraina, con l'inflazione che sta mangiando i salari dei lavoratori rendendo proibitivo l'acquisto dei generi alimentari. In più, nonostante siano l'unico angolo del pianeta che non è in crisi demografica, non possono migrare liberamente perché i vecchi Paesi europei preferiscono alzare costosi e mortali muri per sfruttare i lavoratori che riescono a superare le barriere. Se vogliamo costruire la pace applichiamo davvero il piano di Mattei, ragioniamo in termini di reciproca convenienza, di democrazia vera e sviluppo. Così renderemo vana la logica delle armi.
 

Paolo Lambruschi
NP febbraio 2023

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