Fame e guerra

Pubblicato il 09-08-2022

di Paolo Lambruschi

Se il caro bollette, i rincari folli al distributore e l’inflazione dovute alla crisi in Ucraina rischiano di mettere a rischio la ripresa economica e di allungare la platea di poveri in fila alla Caritas, proviamo ad allungare lo sguardo verso sud.

L'Africa è il continente che probabilmente risentirà maggiormente della crisi economica scatenata dal conflitto. Ucraina e Russia sono infatti i maggiori produttori ed esportatori mondiali di grano e orzo, due dei cereali più importanti per l’alimentazione e l’allevamento. Inoltre la Russia produce una quota notevole di fertilizzanti, che non può esportare per le sanzioni economiche imposte dall’Occidente. La diminuzione della produzione e dell’export ha già provocato un forte aumento dei prezzi. A distanza di un mese circa dall’avvio dell’invasione, il prezzo dell’orzo era già aumentato del 33%, quello del grano del 21% e quello di numerosi tipi di fertilizzanti schizzato al 40%.

Oggi i poveri dell’Africa, già provati dalla pandemia e carestie, rischiano di finire risucchiati in una crisi alimentare senza precedenti. In Africa ci sono almeno 18 Paesi a basso reddito che dipendevano dal grano di Russia e Ucraina. In questi 18 Paesi il consumatore spende in media il 40% del proprio reddito per il cibo e l'aumento dei prezzi rischia di gettare nella miseria milioni di persone.

David Beardsley, direttore esecutivo del programma alimentare mondiale dell’Onu, ha dichiarato che l'impennata dei prezzi dei generi alimentari, in particolare del pane, si sta pericolosamente avvicinando a quella del 2011. Fu quella crisi a innescare le ribellioni e l'instabilità che portarono alla primavera africana quindi al conflitto in Libia, al colpo di stato in Egitto e al conflitto in Siria. Tutte guerre di cui non si è ancora vista la conclusione anche se sono sparite dall'attenzione dei media globali. Nel Corno d'Africa, in particolare in Somalia, è molto alta la dipendenza dal grano dell'Ucraina e della Russia e si rischia di vedere affondare 13 milioni di persone già alla fame per la siccità dovuta ai mutamenti climatici. In Etiopia settentrionale è in corso il conflitto in Tigrai che si è esteso nelle vicine regioni di Afar e Amara e la sicurezza alimentare è messa a rischio, oltre che dalla guerra, dall'assedio che provoca il blocco degli aiuti umanitari. Anche qui ci sono 9 milioni di persone già a rischio fame.

Il quadro stride con il voto dello scorso primo marzo al Palazzo di Vetro a New York quando si è tenuta l'assemblea straordinaria delle Nazioni Unite sull'invasione della Russia. Il continente si è lacerato come ai tempi della guerra fredda. Solo 28 Stati su 54 hanno infatti votato la mozione di condanna dell'invasione russa, l'Eritrea ha votato contro schierandosi apertamente con la Russia. Gli altri 25, tra astensioni e uscite dall'aula per bere un pilatesco caffè durante la votazione, hanno scelto di schierarsi sulla linea di neutralità tracciata da Cina e India. Eppure almeno 18 Paesi africani a basso reddito ricevevano il grano dall’Ucraina in una percentuale oscillante tra il 40 e il 100%. Il fatto che metà Africa non abbia preso posizione contro la guerra rischia di essere controproducente non solo sul piano del rispetto del diritto internazionale. I Paesi occidentali stanno guardando sempre di più all'Africa come alternativa ai combustibili russi. Il continente è già il teatro il maggior numero di conflitti, guerre dimenticate scatenate soprattutto per il possesso delle risorse molto preziose del sottosuolo come le terre rare e le risorse energetiche. Oltre alla fame potrebbero scatenarsi nuove guerre lontane, ma non meno sanguinose di quella che vediamo tutti i giorni sui nostri schermi.


Paolo Lambruschi
NP aprile 2022

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