Una Costituzione da rivedere?

Pubblicato il 22-09-2011

di bruno


Il mensile Nuovo Progetto inaugura il nuovo anno occupandosi della Costituzione Italiana e vi propone, su giovanipace.org, un’attenta analisi del progetto di riforma costituzionale del centro-destra, curata per N.P. dal dipartimento di Diritto Costituzionale dell’Università di Torino.

... di Antonio Mastropaolo e Francesco Pallante

 

Chi crede nei giovani sa che non ci sono ambiti riservati agli addetti ai lavori. Ci sono ambiti riservati a chi abbia voglia di iniziare a capirne qualcosa, e poi darsi da fare. Ecco perché occuparsi di un tema tosto come la Costituzione Italiana: perché i nostri bisnonni hanno versato sangue per averla, mentre noi rischiamo che altri versino il nostro sangue se non la amiamo e facciamo vivere, come uno dei doni preziosi che la storia ci ha fatto e che il futuro attende da noi.
redazione
Il progetto di riforma costituzionale del centro-destra: revisione della Costituzione vigente o instaurazione di una costituzione nuova?

di Antonio Mastropaolo, dottorando di ricerca presso l'Università Suor Orsola di Napoli e Francesco Pallante, dottorando di ricerca presso l'Università di Torino.


1. Il progetto di revisione costituzionale attualmente all’esame del Parlamento è l’ultimo dei tentativi che, da trent’anni, si propongono di modificare la Costituzione.

I primi atteggiamenti esplicitamente svalutativi della Carta fondamentale (politicamente consistenti) si manifestarono verso la fine degli anni ’70: fino ad allora la Costituzione era stata giudicata in maniera sostanzialmente positiva dalle parti politiche e sociali, che vi avevano visto dapprima la garanzia dell’armistizio del 1947 (nel periodo del cd. "gelo costituzionale": che fu gelo sì, ma non proposito di rovesciamento, se non da frange che furono dette, appunto, "eversive") e poi un programma politico, un modello di società da realizzare (nel periodo del cd. "disgelo costituzionale, o dell'"attuazione" della Costituzione, che va, all'incirca, dall'approvazione dello Statuto dei lavoratori, del 1970, alla riforma sanitaria, del 1978).

Ad aprire il dibattito sulla modifica della Costituzione fu, a metà degli anni Settanta, la “grande riforma” proposta da Bettino Craxi e Giuliano Amato, cui fecero seguito iniziative provenienti tanto dall’estrema destra quanto dalla cultura cattolica e di sinistra. Si trattava di proposte molto diverse fra loro, ma animate da un intento comune:

il superamento della forma di governo parlamentare – incentrata sul ruolo dei partiti garantiti dalla legge elettorale proporzionale - prevista dalla Costituzione del 1947, in nome di un modello basato sul rafforzamento dell'esecutivo e la personalizzazione del potere.
Le stesse linee guida che animarono i lavori delle commissioni bicamerali istituite negli anni successivi - la Commissione Bozzi (1985), la Commissione De Mita - Jotti (1992) e la Commissione D’Alema (1997): tre tentativi di muovere nella direzione della democrazia d’investitura, condotti da esponenti di diversa provenienza politica. Nonostante il giudizio negativo diffuso trasversalmente in quasi tutti i settori della classe politica, però, la Costituzione rivelò una sorprendente capacità di tenuta, dimostrando di essere radicata nel sentire comune di una consistente parte dei cittadini.

Sullo stesso piano culturale si pongono le riforme riuscite (e non solo tentate) nel corso dell’ultimo decennio, a iniziare dal referendum del 1993 a favore del sistema elettorale maggioritario. Un punto di svolta - comunque lo si giudichi nel merito - frutto degli sforzi congiunti di destra e sinistra, cui fecero seguito le leggi ordinarie e costituzionali sulla forma di governo degli enti locali e delle Regioni. Tutte riforme volte a valorizzare il momento dell’investitura popolare in nome del principio della governabilità, a scapito delle procedure di mediazione politica messe in atto dai partiti e della stessa dialettica parlamentare, che ora il progetto di riforma governativo si propone di affermare in modo definitivo (nota1).

     2. Per dare il senso del progetto di revisione attualmente all’ordine del giorno, Leopoldo Elia ha parlato - a proposito della forma di governo - di «premierato assoluto», volendo metterne in luce la discontinuità rispetto alla consolidata tradizione costituzionalista incentrata sulla limitazione del potere (nota 2) . Ma la forma di governo non è che il cuore di un progetto più ampio, che mira a modificare oltre 40 articoli della Costituzione coinvolgendo anche il procedimento legislativo, gli organi di garanzia (Presidente della Repubblica e Corte costituzionale), i rapporti tra Stato e Regioni e la stessa normativa sulla revisione costituzionale (art. 138 Cost.) (nota 3) .

     3. Iniziando dalla forma di governo, si deve innanzitutto registrare la formalizzazione di una prassi affermatasi nel recente passato (nuovo art. 92, co. 2): la previsione della candidatura alla carica di Primo ministro attraverso il meccanismo del collegamento del candidato premier con i candidati - o con una o più liste di candidati - all’elezione alla Camera dei deputati (in altre parole attraverso l’inserimento del nome dell’aspirante Primo ministro sulla scheda per l’elezione alla Camera). È una sorta di elezione diretta, ma non una vera novità: già nelle consultazioni del 1996 e del 2001 i nomi dei leader delle coalizioni erano scritti nei simboli presenti sulle schede elettorali.
Quel che di nuovo, sotto questo profilo, la riforma introduce è l’attribuzione al Primo ministro di un’assoluta preminenza sulla Camera (nota 4) , ottenuta attraverso la disciplina dello scioglimento (nuovi artt. 88 e 94, co. 3-5) e del cd. «voto bloccato» (nuovo art. 94, co. 2).

La nuova normativa sullo scioglimento si accompagna alla riduzione ai minimi termini del rapporto di fiducia, in nome della legittimazione popolare acquisita dal Primo ministro tramite l’elezione diretta: non solo viene meno la necessità per il governo di conseguire la fiducia iniziale da parte del Parlamento, ma è la stessa volontà dell’organo rappresentativo a venire indissolubilmente legata all’esito delle elezioni. La sostituzione del Primo ministro, infatti, diventa possibile soltanto qualora la stessa maggioranza uscita dalle elezioni esprima la volontà di continuare l’attuazione del programma con un nuovo Primo ministro, al punto che il rigetto della mozione di sfiducia con voti decisivi provenienti dall’opposizione obbligherebbe comunque il governo alle dimissioni. I casi di scioglimento anticipato della Camera previsti dalla riforma sono i seguenti:
     - richiesta da parte del Primo ministro, o dimissioni o morte dello stesso: l’esito è lo scioglimento, a meno che la stessa maggioranza uscita dalle elezioni esprima la volontà di continuare l’attuazione del programma con un nuovo Primo ministro;
     - approvazione della mozione di sfiducia (o rigetto con voti decisivi della minoranza): ne deriva lo scioglimento, salvo in caso la mozione di sfiducia contenga la designazione di un nuovo Primo ministro da parte dei deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni (cd. sfiducia costruttiva).

Collegata al tema dello scioglimento è la previsione del voto bloccato, in base al quale il Primo ministro «può chiedere che la Camera dei deputati si esprima, con priorità su ogni altra proposta, con voto conforme alle proposte del Governo. In caso di voto contrario, il Primo ministro rassegna le dimissioni e può chiedere lo scioglimento della Camera dei deputati». Un meccanismo attraverso il quale il premier si impadronisce di fatto della funzione legislativa, mettendo il parlamento di fronte a una alternativa secca: l’adesione al suo volere o la crisi di governo.

Attraverso questi meccanismi, il Primo ministro finisce per essere sostanzialmente inamovibile, con una maggioranza precostituita e un decisivo controllo sulla funzione legislativa: il rapporto di fiducia e il potere legislativo - le due principali funzioni di un’assemblea rappresentativa - sono entrambe svuotate, con un’evidente marginalizzazione della Camera (nota 5) .
In definitiva, se la riforma venisse approvata si completerebbe il ribaltamento della forma di governo originariamente immaginata dai costituenti. Si passerebbe infatti da un parlamentarismo a debole razionalizzazione e con sistema elettorale proporzionale a un parlamentarismo iperazionalizzato e con sistema elettorale maggioritario, dopo una breve parentesi caratterizzata dall’attuale parlamentarismo a debole razionalizzazione e con sistema elettorale maggioritario. In sostanza si verrebbero a inserire nel sistema parlamentare elementi del modello presidenzialista, tralasciando i contrappesi propri di quel sistema: un sistema che non ha eguali al mondo (nota 6).

     4. Per quanto attiene al procedimento legislativo, il progetto di riforma intende porre fine al bicameralismo perfetto, differenziando i ruoli di Camera e Senato attraverso la previsione di tre distinti procedimenti: uno bicamerale, uno a prevalenza della Camera, l’altro a prevalenza del Senato federale (nuovo art. 70).
Il procedimento bicamerale si applicherà in alcune materie esplicitamente individuate, tra cui: determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali degli enti locali; finanza regionale e locale; poteri sostitutivi dello Stato; sistema elettorale di Camera e Senato federale; conferimento di funzioni agli enti locali; principi fondamentali del sistema elettorale regionale. Unica differenza rispetto all’attuale bicameralismo perfetto sarà la possibilità di ricorrere, al posto della cd. navette (il passaggio del progetto di legge da un ramo all’altro del Parlamento fino all’approvazione del medesimo testo da parte di entrambi), alla convocazione di una commissione mista, paritetica, incaricata di proporre un testo unificato da sottoporre al voto finale delle due assemblee.
Il procedimento monocamerale a prevalenza della Camera è previsto per le materie di potestà esclusiva statale (salvo alcune riservate al procedimento bicamerale) e si articola nella deliberazione della Camera, nell’eventuale proposta di introdurre modifiche da parte del Senato e nella decisione definitiva della Camera.
Al contrario, il procedimento monocamerale a prevalenza del Senato federale, previsto per la fissazione dei principi nelle materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni (salvo quelle riservate al procedimento bicamerale), opererà attraverso l’approvazione da parte del Senato, cui faranno eventualmente seguito la proposta di modifiche avanzata dalla Camera e la decisione finale del Senato. Peraltro, essendo quest’ultimo estraneo al rapporto fiduciario con il governo, nell’ambito di tale procedimento non sarà ipotizzabile il ricorso alla fiducia per ottenere l’approvazione di un dato provvedimento legislativo. Il governo potrà però proporre delle modifiche al progetto di legge e dichiararle essenziali per l’attuazione del programma; in tal caso il Presidente della Repubblica, verificati i presupposti costituzionali, deciderà se autorizzare il Primo ministro a esporre le motivazioni del governo al Senato, che valuterà se accoglierle entro trenta giorni: se non le approverà il disegno di legge verrà trasmesso alla Camera, che deciderà in via definitiva a maggioranza assoluta dei componenti.
Il problema maggiore che deriva da una disarticolazione di questo genere dell'esercizio della funzione legislativo riguarda le modalità di scelta del particolare procedimento da seguire. Bisognerebbe, infatti, ricondurre ciascun progetto di legge a una determinata materia, superando le difficoltà derivanti dalle leggi che si pongono a cavallo tra diversi ambiti di competenze. In proposito il progetto di revisione propone di affidare ai presidenti di Camera e Senato il compito di risolvere le questioni di competenza che dovessero sorgere tra le due Camere, eventualmente deferendo la decisione a un apposito comitato composto da quattro deputati e quattro senatori (e in ogni caso prevedendo che la decisione dei presidenti o del comitato non sarebbe sindacabile in alcuna sede).

     5. Il progetto di riforma investe anche gli organi di garanzia: il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale.
In relazione al primo si fanno sentire gli effetti della nuova forma di governo: all’accrescimento dei poteri del premier corrisponde la riduzione di quelli del Capo dello Stato, che perde sia il potere di scioglimento del Parlamento, sia il potere di nomina del governo (oggi ancora rilevante per le crisi che nascono nel corso della legislatura). Peraltro, il Presidente mantiene un ruolo decisivo nel consentire o meno al governo di superare l’opposizione del Senato all’approvazione di un disegno di legge governativo nelle materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni. Se da un lato, quindi, si indebolisce il Presidente della Repubblica nel rapporto con il Primo ministro, dall’altro lo si fa arbitro dell’eventuale scontro tra Camera, Senato e governo, coinvolgendolo direttamente nella lotta politica. Per un verso è un semplice notaio, per l’altro un protagonista della dinamica politica: in entrambi i casi a scapito della sua funzione di garanzia (nota 7) .
Quanto alla Corte costituzionale, se ne modifica la composizione aumentando i giudici di nomina politica (da cinque a sette, di cui tre eletti dalla Camera e quattro dal Senato federale). Il rischio è di alterare gli equilibri attuali, trasformando la Corte in un organo più sensibile alle pressioni di carattere politico. A ciò, peraltro, deve ricollegarsi la sempre maggiore tendenza della Corte costituzionale, anche dopo la riforma del Titolo V, a divenire organo arbitrale dei conflitti tra centro e periferia, tendenza che verrebbe ulteriormente accentuata dal riconoscimento anche a Comuni, Province e Città metropolitane della possibilità di impugnare gli atti aventi forza di legge di Stato e Regioni lesivi delle loro competenze costituzionalmente attribuite. Il tutto a scapito della sua funzione di giudice delle leggi.

     6. Il progetto di revisione costituzionale prevede inoltre l’introduzione del Senato federale e una nuova disciplina dell’assetto dei rapporti tra Stato e Regioni (sia quanto al riparto delle competenze sia quanto ai poteri statali sostitutivi).
Il Senato federale è in un certo senso il completamento della riforma del 2001 (anche se entrerà in vigore solo nel 2016!). La ratio di tale modifica dovrebbe essere quella di inserire anche in Italia, come in tutti i sistemi realmente federali, un organo a livello nazionale rappresentativo (anche) degli enti periferici e con il compito di risolvere in via preventiva i conflitti tra centro e periferia, approvando leggi condivise. A ben vedere, però, il Senato federale così come configurato nella proposta di revisione non è realmente rappresentativo degli enti periferici, non essendo composto da rappresentanti o esponenti delle Regioni: i senatori saranno eletti - come già oggi avviene - direttamente dai cittadini, senza che le Regioni abbiano voce in capitolo. L’unico collegamento previsto tra i senatori e le Regioni è di tipo indiretto: i senatori dovranno sempre essere eletti contestualmente ai Consigli regionali (non ci sarà più una durata del Senato come organo in sé, ma ciascun senatore resterà in carica quanto il Consiglio regionale della Regione in cui è stato eletto; se la legislatura regionale finisce anticipatamente, anche tutti i senatori eletti in quella Regione decadono e si torna a nuove elezioni). Il risultato è che i senatori saranno molto coinvolti nella politica regionale, cercheranno di garantirne la stabilità, ma niente assicura che rappresenteranno a livello centrale le istanze regionali (nota 8) .
Quanto alle competenze, si deve anzitutto notare che al Senato spetta prevalentemente la disciplina delle materie di competenza concorrente, tra cui ve ne possono essere molte di fondamentale importanza nell’attuazione del programma politico del governo. Poiché però il Senato è al di fuori del circuito della fiducia/scioglimento, il rischio è che possa prodursi una situazione di stallo. In altre parole, alle elezioni politiche i cittadini voteranno solo per la Camera e, in caso di crisi di governo, lo scioglimento interesserà solo questa; i senatori resteranno in carica fino alla fine delle legislature delle Regioni nelle quali sono stati eletti, sicché potrebbe verificarsi la situazione in cui il governo ha la maggioranza alla Camera ma non al Senato (come già accennato, la via d’uscita dall’eventuale stallo è solo quella del coinvolgimento diretto del Presidente della Repubblica, che può autorizzare il governo a trasferire la decisione finale sul progetto di legge dal Senato alla Camera). In una forma di governo connotata da un fortissimo accentramento del potere, si finisce per fare del Senato l’unico vero contropotere.
Sempre con riguardo alle competenze, alcune materie verranno ricentralizzate e altre date in competenza esclusiva alle Regioni (nota 9) (c.d. devolution). Sono due mosse solo apparentemente antitetiche, ma in realtà l’orientamento è nel senso di una sostanziale diminuzione dei poteri delle Regioni e degli enti locali. E infatti, se è vero che la devolution attribuisce alcune materie alla competenza esclusiva delle Regioni (assistenza e organizzazione sanitaria; organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione; definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione; polizia amministrativa regionale e locale), è altresì vero che lo Stato mantiene competenze esclusive in tutti gli ambiti interessati (tutela della salute, pubblica istruzione e ordine pubblico). Sembra dunque che dietro la devolution vi siano sopratutto esigenze di visibilità politica di un partito della coalizione di centro-destra (nota 10) . Inoltre lo Stato vedrà accresciuti i suoi poteri di controllo sulle periferie: è infatti previsto che possa, a condizioni molto vaghe, sostituirsi alle Regioni e agli enti locali nell’esercizio delle funzioni legislative e amministrative e che, su iniziativa del governo, il Parlamento in seduta comune possa pronunciarsi a maggioranza assoluta nel senso della contrarietà di una legge regionale all’interesse nazionale, con il conseguente annullamento della legge regionale (dunque un annullamento per motivi politici) (nota 11) .

     7. Merita di essere segnalata, infine, la proposta di modificare l’art. 138 Cost.. Sulla base di quanto dispone attualmente la Costituzione, se, in seconda lettura, la revisione della stessa è approvata sia alla Camera sia al Senato con la maggioranza di almeno i 2/3, non è possibile richiedere il referendum costituzionale: è un incentivo a ricercare un’intesa più ampia della maggioranza semplice, in conformità all’idea che la Costituzione debba contenere norme condivise. Con la riforma si vorrebbe rendere sempre possibile la richiesta del referendum, a prescindere dalla maggioranza schieratasi a favore della modifica, con due importanti conseguenze: in primo luogo il venir meno dell’incentivo a larghe intese; in secondo luogo la trasformazione del referendum da oppositivo in approvativo (trasformazione che, peraltro, si porrebbe su una linea di sostanziale continuità con l’utilizzo fatto di questo strumento nel 2001), stravolgendo il disegno costituzionale nel quale il ricorso al popolo è l’extrema ratio di chi vuole impedire la revisione. D’altro canto, però, si vuole introdurre il quorum di partecipazione anche per il referendum costituzionale, il che renderà in futuro più difficile modificare la Costituzione perché i contrari potranno approfittare dell’involontaria alleanza degli astensionisti.

     8. In conclusione si può dire che la riforma persegue obiettivi sbagliati e li persegue male. Sono sbagliati perché l’accentramento muove in senso contrario alla valorizzazione della separazione e limitazione del potere propugnata dal costituzionalismo degli ultimi tre secoli; sono perseguiti male perché, pur ponendosi agli estremi confini di questa tradizione, anche al progetto di riforma in esame risulta impossibile non prevedere dei contropoteri, ma li configura in maniera anomala e senza prevedere efficaci meccanismi di risoluzione delle situazioni di stallo.
Se proprio si era affascinati dai modelli leaderistici, ci si poteva rifare ai modelli presidenzialisti, nei quali l’esecutivo è eletto direttamente e non può essere rimosso, ma incontra un serio contrappeso nella netta separazione istituzionale del legislativo (è il caso degli Stati Uniti, ove fortissimo è il potere del Congresso). Quel che l'attuale maggioranza ha, invece, voluto fare è lo stravolgimento del sistema parlamentare in senso lontanissimo anche dal modello preso a riferimento, quello inglese. Il premier britannico, infatti, non è affatto padrone della sua maggioranza parlamentare, ma, al contrario, è solo riuscendo a rimanere leader del partito di maggioranza che può mantenersi alla guida del governo. Tant’è che se perde il controllo del partito perde anche la carica di Primo ministro, alla quale viene sostituito dal nuovo leader del partito (è quanto accadde a Margaret Thatcher).


Antonio Mastropaolo e Francesco Pallante


NOTE

1
Sulla continuità culturale che lega la riforma attualmente in discussione a quelle (tentate e riuscite) degli anni passati, cfr. L. Carlassare, Costituzionalismo e democrazia nell’alterazione degli equilibri (http://www.costituzionalismo.it/articolo.asp?id=136) e A. Di Giovine, Fra cultura e ingegneria costituzionale: una forma di governo che viene da lontano, in “Democrazia e diritto”, n. 2/2004. torna su

2 Cfr. L. Elia, Il premierato assoluto, in Sul progetto di revisione costituzionale del Governo, Relazione al Seminario ASTRID del 22.9.2003 (http://www.astridonline.it/Cartella-p/Commenti-a1/Il-progett/index.htm). Nello stesso senso anche L. Carlassare, Il progetto governativo di riforma: il costituzionalismo più che mai alla prova (http://www.costituzionalismo.it/articolo.asp?id=120) e G. Ferrara, Federalismo e premierato, ovvero, del rovesciamento della Costituzione e della negazione del costituzionalismo (http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti/revisione/ferrara.html). torna su

3 Criticano il progetto di riforma (anche) per l’ampiezza della sua portata G. Ferrara, op. cit., che sottolinea come «il progetto [...] fuoriesce dalla previsione dell’articolo 138», e A. Pace, La Costituzione non è una legge qualsiasi (http://www.costituzionalismo.it/articolo.asp?id=137) a giudizio del quale «l’art. 138 [...] consente solo revisioni puntuali e omogenee». torna su

4 Come si vedrà, la trasformazione del Senato in Senato federale comporta la sua esclusione dal circuito della fiducia. torna su

5 G. Ferrara, Verso la monocrazia. Ovvero del rovesciamento della Costituzione e della negazione del costituzionalismo (http://www.costituzionalismo.it/articolo.asp?id=147) e P. Ciarlo, Governo Legislatore e super-rigidità della Costituzione: due pregiudiziali (http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti/revisione/ciarlo.html). torna su

6 A. Di Giovine, Intervento al Convegno «La Costituzione in bilico Riflessioni sul progetto di riforma» tenutosi l’11.12.2004 a Torino. torna su

7 G. Azzariti, Intervento al Convegno «La Costituzione in bilico Riflessioni sul progetto di riforma» tenutosi l’11.12.2004 a Torino. torna su

8 N. Zanon, Intervento al Convegno «La Costituzione in bilico Riflessioni sul progetto di riforma» tenutosi l’11.12.2004 a Torino. torna su

9 Tra l’altro ciò avverrebbe in contrasto con l’impianto complessivo dell’art. 117 Cost.: tale articolo, infatti, attualmente prevede un elenco di materie di competenza esclusiva statale, un elenco di materie di competenze concorrente e lascia tutto il resto alla competenza residuale esclusiva delle Regioni. Ora si vorrebbe far coesistere la clausola residuale con un elenco di quattro materie anche esse di competenza esclusiva regionale... torna su

10 E infatti, più che dalla dottrina (che pure sottopone a dure critiche tale aspetto della riforma proposta: cfr. Ferrara, op. cit.), le più alte grida di allarme arrivano proprio da parte dei politici del centro-sinistra. torna su

11 N. Zanon, Intervento al Convegno «La Costituzione in bilico. Riflessioni sul progetto di riforma» tenutosi l’11.12.2004 a Torino. torna su

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok