Un arsenale di acqua e sapone

Pubblicato il 20-06-2020

di Simone Bernardi

Al sicuro dal virus e dalla strada.

 

Quando abbiamo saputo del primo caso ufficiale di Covid-19 a San Paolo, una metropoli di 20 milioni di abitanti, per noi è stato subito evidente che le persone di strada - la popolazione con cui lavoriamo da anni, circa 25-30mila persone che hanno solo un pezzo di cartone su cui sedersi e passare in qualche modo la giornata - non avrebbero certamente potuto rispettare la prima delle raccomandazioni fornite dall'OMS, quella di rimanere in casa, perché una casa non ce l'hanno. E di conseguenza, nemmeno la seconda, quella di lavarsi bene le mani: magari qualcuno avrebbe potuto ricevere una saponetta, grazie alla distribuzione di qualche gruppo organizzato, ma in strada non c'è accesso all'acqua e i bar sono chiusi. Impensabile anche seguire le raccomandazioni sul distanziamento sociale, perché i pochi punti di distribuzione gratuita di cibo creano in genere grandi assembramenti e confusione. Le raccomandazioni per difendersi dal coronavirus sono per tutti, ma, di fatto, finiscono con l’essere praticabili solo per determinati ceti sociali. Da un certo livello in giù sono impossibili da rispettare. 

 

Il misto di riflessioni, dubbi e paure che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo non ci sta in poche righe… Dopo averci pensato, pregato ed esserci confrontati con la Fraternità a Torino, abbiamo deciso di trasformare l'Arsenale della Speranza in una quarantena, 24 ore su 24. Il 23 marzo, a mano a mano che la lunga fila dei nostri 1.200 ospiti entrava, assistenti sociali ed educatori li radunavano in gruppi: «Signori, per cercare di proteggerci dal contagio del nuovo coronavirus, a partire da oggi chi entra vi rimane a tempo indeterminato. Anche se alcune autorità di governo sostengono che non è nulla, le autorità in campo sanitario ci dicono che questa è una minaccia per la vita e, dunque, la cosa migliore da farsi è rimanere in casa. Noi non giochiamo col fuoco e grazie all’esperienza di altri luoghi del mondo, come l’Italia, sappiamo che questo virus è un grande pericolo per tutti».

Dal 23 marzo, quasi mille persone sono rimaste giorno e notte dentro l'Arsenale. Letteralmente, un popolo. L’Arsenale, pur grande, si è ovviamente dovuto reinventare, trasformare, cambiare ritmo per permettere a centinaia di uomini – che normalmente vivono come “nomadi urbani” – di fissarsi in un unico posto, mangiare, dormire, prendersi cura della propria igiene personale e di tante altre questioni ora divenute di fondamentale importanza.

Dal 23 marzo agli inizi di giugno, giorno in cui scrivo queste parole, non abbiamo avuto nessun quadro grave di salute e nessun caso accertato di Covid. Sono già trascorsi 70 giorni e il pericolo, perlomeno in Brasile, non è ancora passato. Andiamo avanti un millimetro alla volta, senza retrocedere, per cercare di fare bene il bene anche davanti a questo che senz’altro è l'imprevisto più grande che ci sia mai capitato nella nostra storia di accoglienza.

 

Vi chiediamo di portare nel cuore anche questa situazione nelle vostre case, nelle vostre realtà che stanno lentamente riprendendo, con l’invito di non disperdere il patrimonio di solidarietà e di attenzione all’altro che forse in questo tempo è venuto più allo scoperto. Non dimentichiamoci che il mondo continua ad essere molto diverso a seconda delle zone e delle situazioni in cui si vive. Siamo sulla stessa barca? Sì, ma ci sono barche molto diverse Anche qui a San Paolo, però, stiamo vedendo che queste barche – dove in una c'è la piscina e nell'altra si rimane a galla cercando di buttare fuori l'acqua – si sono avvicinate un po' e da una si è cominciato a passare delle cose all'altra, ci si è magari legati insieme per non affondare. Questa condivisione è un patrimonio comune che non possiamo perdere, che deve riuscire non solo a farci rimanere a galla in questo momento, mentre la tempesta non è ancora finita, ma a far sì che il mondo possa cambiare veramente.

In questi mesi di confinamento stiamo vedendo che se questa solidarietà è possibile tra persone che arrivano dalla strada, dalle prigioni, da situazioni di violenza e di marginalità anche molto grandi, se è possibile convivere in 1.000 mantenendo un’armonia, allora è possibile anche per tante altre situazioni. La solidarietà salva, la solidarietà ci fa uscire dall'isolamento, non solo adesso, perché ci dobbiamo proteggere da un nuovo nemico, ma perché il nemico è proprio il fatto di essere isolati in una realtà in cui ognuno pensa solo a se stesso. Pensiamoci all'altro perché pensare all'altro significa pensare a me stesso. Dall'Arsenale della Speranza vi auguro «tudo de bom», tutto il bene possibile. Teniamoci uniti nella comunione e nella preghiera.

 

@arsenal_da_esperanca

 

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