Tu parli legalese?
Pubblicato il 12-12-2023
Per lavoro o per altre necessità più mondane, mi è capitato di addentrarmi nell’oscuro linguaggio dei contratti, bandi e normative. Nonostante credessi di riuscire a cavarmela da solo, pensando che il mio livello di istruzione fosse sufficientemente adeguato, ho dovuto chiedere aiuto ad amici/colleghi esperti. L’esempio più lampante è stato, qualche anno fa, per l’acquisto di un immobile e l’accesso ai relativi bonus governativi. Dopo nottate spese a capire le condizioni di applicabilità di certe norme (che a loro volta rimandavano ad altre, che a loro volta rimandavano ad altre...), ho comunque dovuto chiedere conferma a un paio di commercialisti e architetti, che, a loro volta, hanno espresso pareri diversi. La complessità e l’incertezza normativa, tra le altre cose, sembra determinare e perpetrare implicitamente una condizione discriminatoria: per motivi di istruzione, assenza di network e risorse per pagare consulenti, molte persone finiscono per essere escluse dall’esercizio di un diritto. Una politica con vocazione redistributiva, di fatto, può quindi finire per avvantaggiare chi ne ha meno bisogno.
Ma non voglio dilungarmi sulle conseguenze redistributive di normative complesse, quanto piuttosto focalizzarmi su questa complessità e capire fi no a che punto chi lavora con queste norme sia realmente consapevole del grado di difficoltà del linguaggio giuridico. Facendo una rapida ricerca su una delle mie riviste scientifiche preferite (PNAS), mi sono imbattuto in un articolo dal titolo alquanto provocatorio: Persino gli avvocati non amano il legalese.
L’articolo si sofferma innanzitutto sul fatto che il linguaggio presente nei contratti, nelle leggi e in altri documenti legali è notoriamente inaccessibile ai comuni cittadini. Per esempio, a livello sintattico, il linguaggio dei contratti e della legislazione risulta estremamente carico di clausole e subordinate, che comportano dipendenze sintattiche a lunga distanza. Inoltre, è stato riscontrato che i documenti legali sono carichi di parole che vengono utilizzate raramente nella lingua di tutti i giorni. È stato anche dimostrato come l’uso di tali elementi sintattici e lessicali complessi inibiscano la capacità di ricordare il testo.
Se c’è ampio consenso riguardo a come e quanto il linguaggio legale sia complicato da comprendere, rimane aperta la domanda sul perché questo avviene. Capire perché i giuristi e i legislatori scrivono in modo così complesso può contribuire agli sforzi politici per rendere le leggi più accessibili, garantendone la comprensione e il rispetto da parte dei cittadini. Gli autori conducono due esperimenti per rispondere a questa domanda. Nel primo esperimento, essi dimostrano che gli avvocati, al pari delle “persone comuni”, sono meno in grado di ricordare e comprendere il contenuto di un testo legale complesso rispetto a un contenuto equivalente redatto in un registro semplificato. Nel secondo esperimento, gli autori scoprono che gli avvocati valutano i contratti semplificati come altrettanto “esecutivi” dei contratti scritti in legalese. Inoltre, essi valutano i contratti semplificati come preferibili ai contratti in legalese su diverse dimensioni, tra cui la qualità complessiva, l’appropriatezza dello stile e la probabilità che siano firmati da un cliente.
Secondo gli autori, i giuristi che scrivono in modo complesso lo fanno per comodità e tradizione, piuttosto che per una mera preferenza. Semplificare i documenti legali sarebbe quindi vantaggioso sia per gli addetti che per i non addetti ai lavori. Inoltre, la veste formale che spesso si rende necessaria per alcuni documenti non è necessariamente sinonimo di complessità: i giuristi potrebbero adottare un registro più semplice per raggiungere un livello di formalità che si allinei meglio con i loro obiettivi comunicativi, anziché gravare i clienti e se stessi con un “legalese ingannevole”. Si allude qui a un possibile uso strumentale del legalese, alimentato da un’asimmetria di conoscenza, che può pericolosamente sfociare in esercizio di potere: quando le persone comuni non comprendono le fitte trame della legge, si affidano all’esperto, che ha quindi in mano il potere di “fregarli” oppure indirizzarli verso la comprensione e l’esercizio del proprio diritto. Anche per questo motivo, sarebbe quindi opportuno migliorare il processo di democratizzazione del linguaggio del nostro apparato normativo.
Perluigi Conzo
NP novembre 2023