SOMALIA: Rispetto e intolleranza

Pubblicato il 31-08-2009

di bruno


Mons. Bertin, Vescovo di Gibuti ed Amministratore Apostolico di Mogadiscio, è il rappresentante della Chiesa cattolica territorialmente più vicino alla Somalia, Paese nel quale per il momento non è possibile una rappresentanza diretta.

di Giorgio Bertin

La Somalia è un Paese “nato” poco più di un centinaio d’anni fa con la spartizione, tra diverse potenze coloniali (Gran Bretagna, Francia, Italia e... Etiopia) di un vasto territorio abitato dai somali.I somali da secoli si sono identificati con la fede islamica. Tale fede ha spesso coagulato i loro sentimenti e i loro diversi clan contro la vicina Etiopia, per tradizione storica, cristiana.
L’arrivo delle potenze coloniali occidentali verso la fine del 1800 ha portato i musulmani somali a contatto con cristiani occidentali. L’islam somalo aveva delle caratteristiche proprie, caratterizzate dalle “confraternite” religiose, quali la “Qadiriyya”, la “Salihiyya”, la “Ahmadiyya” ecc. Era un islam relativamente tollerante e “religioso”, se si eccettua il movimento dei “drawish” dell’ex British Somaliland (la Somalia del Nord-Ovest per intenderci).
La presenza missionaria cattolica era piuttosto consistente soprattutto nel Centro-Sud Somalia fino alla fine degli anni ’90. Ricordo per esperienza personale che le relazioni tra la popolazione somala e i cristiani, quasi tutti stranieri, e in particolare i “padri e le suore” erano buone, marcate anche da una certa stima nei nostri confronti, soprattutto per le opere di bene nei confronti della popolazione povera: scuole, ambulatori, progetti di Caritas Somalia verso i rifugiati somali dalla guerra dell’Ogaden o verso la popolazione locale.
 In particolare avevamo dei progetti che espressamente volevano favorire il “dialogo islamo-cristiano delle opere”: un progetto agricolo lungo il fiume Giuba con il discendente di un “santone” (Scekh Nur) che aveva fondato un villaggio per i poveri, la creazione della associazione “amici dei poveri” a Mogadiscio che radunava un numero eguale di musulmani e cristiani, l’apertura di una biblioteca interreligiosa presso la nostra cattedrale a Mogadiscio.

Già verso la fine degli anni ’80 le cose però cambiavano: gruppi di musulmani somali influenzati dall’estero (la rivoluzione islamica in Iran, i Fratelli Musulmani in Egitto, ecc.) propagandavano un islam più politico, in funzione anti Mohamed Siyad Barre (il presidente della Somalia socialista dell’epoca), e più aggressivo nei confronti della presenza e delle attività non solo della missione cattolica ma anche di altre missioni protestanti.
Il crollo del regime di Siyad Barre nel 1991 ha portato la Somalia al caos, alla divisione politica e soprattutto clanica: lo Stato è stato distrutto e ancor oggi, nonostante l’esistenza di un Governo Federale di Transizione da più di un anno, non si può parlare dell’esistenza di uno stato o di una autorità centrale.
In questa situazione diversi gruppi islamisti hanno cercato di portare la loro soluzione, la creazione di uno stato islamico, ispirato cioè dalla Sharia e con un sentimento piuttosto aggressivo nei confronti di ciò che non è musulmano, in particolare di ciò che è cristiano. Essi vorrebbero fare della Somalia un vero stato islamico che avrebbe una funzione di punta di lancia dell’islamismo nell’Africa Orientale. Per il momento non ci sono riusciti per il noto clanismo e individualismo somalo.
Personalmente credo che questa aggressività islamica dei somali sia piuttosto contingente, cioè legata all’attuale situazione di anarchia, insicurezza ed estrema povertà per la maggior parte della popolazione: i gruppetti di ispirazione radicale vi trovano un facile terreno.
È importante a mio parere aiutare e favorire il processo di rinascita dello stato in Somalia. Il ritorno di una autorità centrale e della “tranquillità dell’ordine” farebbe “decantare” molti atteggiamenti ostili ed aggressivi in nome dell’islam. Le relazioni tra noi cristiani, presenti in diverse organizzazioni umanitarie, in agenzie dell’ONU o attraverso funzionari statali, nei confronti della popolazione somala, interamente musulmana, dovrebbero svilupparsi basandosi sul rispetto reciproco. Noi cristiani non dobbiamo camuffare la nostra identità per far piacere ai musulmani o per rendere più facile una certa nostra presenza.
Dobbiamo aiutarli a comprendere che la convivenza anche tra i somali passa attraverso uno spirito di tolleranza e rispetto dell’altro, che fa pur parte dell’autentica tradizione somala. D’altra parte noi cristiani “stranieri” dobbiamo evitare di “umiliare” la popolazione somala con una eccessiva ricchezza di mezzi, che non tiene conto del fatto che anche i più poveri hanno bisogno di tempo per comprendere e per crescere.

Ritengo infine, che se alla Chiesa sarà possibile
una presenza meno nascosta e precaria di quella attuale, il terreno privilegiato per uno sviluppo di relazioni dialogiche tra musulmani e cristiani in Somalia continuerà a passare attraverso le “opere”, cioè attraverso un servizio umanitario rispettoso nei loro confronti e allo stesso tempo sincero e verace verso la nostra identità cristiana.

di Mons. Giorgio Bertin
da Nuovo Progetto maggio 06


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