Si comincia da 1

Pubblicato il 24-06-2021

di Max Laudadio

Quando lavoro abito a Milano, in una via che con il passare degli anni ha cambiato aspetto e che, grazie all'apertura di decine di ristoranti, bar, locali notturni, sta pian piano attirando la movida milanese.

Davanti ad un piccolo supermercato, aperto quasi sempre, vive Raul. O meglio lavora Raul perché vista l'etnia suppongo che quando il market chiude la serranda rientri in qualche campo rom vicino.

Raul non parla bene l'italiano, riesce a mala pena a salutare con un timido ciao, ma non penso che questo gli condizioni l'esistenza perché difficilmente qualcuno si ferma a parlare con lui. Raul puzza, molto, come tutti quelli che vivono in strada, ma fortunatamente non di alcool più per le poche docce che evidentemente si concede. Raul guadagna pochi euro al giorno, quelli che qualcuno lascia nel barattolo, e non penso per volerlo aiutare veramente. Raul però non demorde, è sempre lì, giorno dopo giorno: con la pioggia, la neve, il sole, e anche quando il lockdown imposto per il covid vieterebbe di uscire.
Raul ha un braccio gonfio che sembra esploda da un momento all'altro, e la sua mano è talmente viola da apparire in putrefazione.
Raul ha sempre gli occhi tristi, il suo sguardo è perso nel vuoto, e forse niente può modificarlo. A dire il vero non credo nemmeno gli interessi. Raul è uno dei tanti uomini invisibili che vivono a Milano.

Un giorno ho deciso di fermarmi da lui, non so perché ma l'ho fatto. Era molto diffidente e non ha nemmeno alzato lo sguardo per capire a chi appartenessero i piedi vicino al suo prezioso barattolo. Non gli ho dato dei soldi ma gli ho domandato se avesse fame. Lui ha fatto un cenno negativo con la te- sta. Così ho rilanciato e gli ho chiesto il nome ma non ha risposto. Quando me ne sono andato mi sono sentito inutile, svuotato, e mi sono colpevolizzato per non avergli dato nemmeno un euro.

Il giorno dopo Raul era sempre al suo posto e quando l'ho visto l'ho salutato calorosamente ma per lui era come se non esistessi. Non mi vedeva o non voleva vedermi, sta di fatto che il risultato non cambiava: zero risposte. Per circa due, tre settimane la scena è stata sempre la stessa; il mio saluto cadeva nel vuoto, come vuoto continuava ad essere il suo sguardo. Poi, un giorno, Raul ha sollevato la testa e dopo aver coperto il braccio malato con una giacca usurata, mi ha fermato e ha chiesto come mi chiamassi.
Apparirà strano ma quella domanda ha stravolto la mia giornata perché quell'uomo così solitario, distrutto dalla vita, probabilmente privo di qualsiasi sogno, aveva deciso di aprire la sua corazza e di fidarsi di me.

Ci sono voluti due mesi prima che Raul aggiungesse al quotidiano "Ciao Max" qualcosa di più, e altri due per arrivare a trovare il coraggio di chiedermi se lo potevo aiutare. Non mi ha chiesto soldi ma bensì la possibilità d'incontrare un dottore. Raul mi ha confidato che ogni volta che ha provato ad andare in un ospedale non l'hanno fatto entrare, perché era senza documenti e nessuno poteva garantire per lui. Ma anche che la sua vita non aveva valore perché era un zingaro, e che non si aspettava niente da nessuno sempre perché era uno zingaro, e ha concluso sottolineando che "nessuno ama gli zingari".
È facile capire il perché delle parole di Raul ma è sempre strano ascoltare frasi che non prevedono la speranza. Voglio essere molto sincero, anch'io faccio attenzione quando mi trovo davanti un rom, ma non perché sono zingari, grazie al cielo il razzismo non mi appartiene, e peraltro rispetto lo stile di vita nomade, ma solo perché più volte con il mio lavoro mi sono trovato a contrastare l'illegalità di qualcuno di loro e anche rischiando personalmente pericolose ripercussioni.

Di Raul però mi sono fidato, senza pensarci due volte, e tenendo ben presente che la misericordia passa dalle parole prima di concretizzarsi in fatti e rischia di diventare sterile se questo non avviene. In ospedale siamo andati in moto e abbiamo anche riso molto. Non voglio soffermarmi su come lo hanno curato, perché credo che la mia presenza abbia condizionato le loro attenzioni, ma bensì su quello che è successo dopo le lunghe ore passate insieme al Pronto Soccorso.

Raul ogni volta che mi vede si alza dal suo barattolo di vernice e mi viene incontro per salutarmi con quella gioia che sembrava non gli appartenesse. Quando non passo per qualche giorno, ferma mia moglie o mia figlia e chiede loro se sto bene o se si deve preoccupare per me e, ogni volta, chiede di salutarmi. Non posso giurare che Raul non sia un delinquente, e nemmeno che quando rientra al campo Rom non faccia qualcosa di illegale ma, quando lo vedo, mi faccio sempre le stesse domande. Quanto incide la diffidenza nella nostra vita? E non basterebbe un pò più di gentilezza?


Max Laudadio
NP marzo 2021

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