Presidente galantuomo
Pubblicato il 03-02-2023
Venne una sera a parlare in un minuscolo teatro di provincia. Di fronte a un pubblico anche più modesto, trenta-quaranta persone infreddolite, in un aprile precedente ai cambiamenti climatici. Correva l’anno 1991, e l’autorevole politico aveva il compito di illustrare la figura del santo abate Bernardo di Chiaravalle e il suo amore per la Madonna. Intabarrato e col viso segnato da un recente incidente domestico, egli incantò lo scarno uditorio, narrando le imprese di quell’uomo di Dio e recitando le sue preghiere alla Vergine. «Guarda la stella, invoca Maria».
Al termine, via sull’auto, due uomini di scorta, per andare chissà dove, comunque molto lontano.
L’uomo era Oscar Luigi Scalfaro. Magistrato in gioventù, quindi il percorso-tipo dei giovani cattolici nel dopoguerra: Azione cattolica e Democrazia cristiana. Papà di una bambina, precocemente vedovo e mai risposato, Scalfaro entra giovanissimo in Parlamento, nell’Assemblea costituente chiamata a scrivere la Costituzione repubblicana.
Ministro dei Trasporti, poi degli Interni, quindi presidente della commissione d’inchiesta sul terremoto dell’Irpinia, quella sera del 1991 non ricopriva incarichi.
Qualcuno gli augurò di diventare presidente della Repubblica l’anno successivo, alla scadenza di Francesco Cossiga.
Avvenne esattamente tredici mesi dopo. Immediatamente dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992. Il Paese sconvolto e inorridito si affidò all’uomo politico più rispettato per onestà, coerenza, generosità. All’allievo e seguace di don Luigi Sturzo, il prete siciliano che evocò i cattolici a porsi al servizio del bene comune, a impegnarsi in politica senza timidezze, per divenirne il sale, il lievito, la luce.
Oscar Luigi Scalfaro fu presidente al 1992 al 1999: tempi acerbi, di scandali e di sangue, di mani pulite e di mani sporche, di mafie e mafiosi.
Concluse il suo mandato accompagnato dal medesimo rispetto dell’inizio, avendo servito con onore dal primo all’ultimo giorno.
Scalfaro non c’è più. S’è smarrita pure quella politica. Quel senso del dovere e del servizio, dello Stato e del bene comune. Quell’umiltà, pure, di accorrere a parlare di san Bernardo e della Madonna in un minuscolo, freddo e deserto teatrino di provincia, senza riceverne in cambio nemmeno un bicchier d’acqua. Abbiamo nostalgia di politici così, assistendo allo spettacolo miserevole di quelli attuali.
I cui pensieri, parole e passioni stanno spesso racchiusi in un banale e inutile tweet.
Renzo Agasso
NP novembre 2022