Meno cagnara, per favore!

Pubblicato il 11-08-2012

di Mauro Tabasso


Sto per parlarvi di cose molto serie, per le quali ho dovuto dar fondo alla mia cultura (leggi: riprendere in mano i libri di fisica)… Come direbbe il Mago Forest: “È solo per farvi capire che non sono un ignorante”…

di Mauro Tabasso

 

In fisica acustica il decibel (si abbrevia dB) è l’unità di misura impiegata da quasi tutti i sistemi del mondo per la misurazione dell’intensità (forte, piano) di un suono, la sua pressione sonora. Da un punto di vista matematico si tratta di un logaritmo piuttosto complesso da spiegare, ma possiamo dire che la pressione sonora misurata in dB è (in modo direttamente proporzionale) funzione dell’intensità del suono, e (in modo inversamente proporzionale) della distanza a cui viene misurata la pressione stessa (con un apparecchio chiamato fonometro).

A titolo indicativo, ad un aumento dell’intensità sonora pari a 3 decibel, corrisponde circa un raddoppio della percezione soggettiva del rumore. Tanto per darvi dei termini di paragone, anche se piuttosto grossolani, la soglia del dolore di un orecchio medio oscilla intorno ai 120 dB di pressione sonora; il motore di un jet produce circa 140 dB, un martello pneumatico circa 130, la sirena di un antifurto domestico non può per legge superare i 112 db a 1 metro di distanza. Lo scarico di una motocicletta (omologato, non taroccato), può andare dai 70 agli 80 dB a 10 metri di distanza. In molte discoteche la pressione sonora media staziona intorno ai 110 dB anche a diversi metri dalle fonti di emissione - ben oltre le soglie consigliate - che è la cosiddetta fascia critica per l’orecchio; mentre se vi trovate a Torino, diciamo al centro di Piazza Vittorio il rumore di fondo è compreso tra i 50 e i 60 dB; supera invece di gran lunga i 70 se vi trovate a Roma in Piazza Venezia. L’ugola di vostro figlio (o peggio, quella di vostra suocera) che strilla, non essendo dotata a monte di dispositivi di limitazione, può tranquillamente e impunemente trasgredire… In uno studio di registrazione (luogo silenzioso per antonomasia) il rumore di fondo (virtualmente non catturato dai microfoni) è di circa 25 dB; in una condizione come questa si può udire distintamente il ticchettio di un orologio (circa 1 dB). Sotto questa soglia è praticamente… l’angoscia.

Provate a fare un’audiometria. Vi chiudono in una cabina del telefono dove venite assaliti dall’ansia, sensazione dovuta non tanto alle dimensioni della cabina quanto al fatto che all’interno della stessa il rumore di fondo è quasi nullo. Esistete solo voi con il vostro respiro. Tutto ciò per dirvi che tipo di assuefazione abbiamo al rumore… Un’assuefazione tale che… è il silenzio ad inquietarci. Al punto che quando siamo soli a casa, in ufficio, in macchina o dove volete voi, accendiamo radio e televisioni che non ascoltiamo e non guardiamo solo perché il loro brusio fa da sottofondo e rompe, riempie, guasta un silenzio che troviamo altrimenti insopportabile. Parlo in generale, certo non per me (e scusatemi) che invece adoro il silenzio, lo cerco, e forse anche qualcuno tra voi lo apprezza, ma evidentemente siamo in pochi.

L’ansia, o come volete chiamarla, che esso genera è certamente, a mio modo di vedere, una delle numerose cause (sulle altre per ora non indaghiamo) che da un punto di vista musicale giustificano e in qualche modo fomentano la produzione, la diffusione e il consumo di tanta musica (ma anche programmi TV, radio, internet, ecc.) che c’è ma non dovrebbe proprio esserci… Il cinema stesso, dopo il muto (che era muto ma non silenzioso), ha spesso utilizzato l’assenza di rumore/suono per creare tensione. Una scena su tutte: l’interminabile aggressione spaziale da parte di HAL 9000 a un membro della spedizione Discovery; un silenzio snervante rotto solo dal respiro pesante del cosmonauta-vittima. Il film in questione è 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick, che pure del silenzio fa un uso magistrale proprio nella costruzione del film stesso e della sua colonna sonora, riprendendo, citando, sottolineando la lezione che grandissimi compositori (dall’Impressionismo in poi) quali Debussy, Ravel, Fauré o Richard Strauss continuano ad impartire: in musica, i silenzi, le pause, si suonano, si interpretano, diventando parte integrante e materiale da costruzione del tessuto sonoro, così come certa architettura, pittura, scultura o fotografia hanno fatto e continuano a fare con la luce, utilizzandola ora per modellare spazi, ora per dipingere ombre, ora per dare un carattere a un personaggio.

È il silenzio che crea la musica, che plasma il suono. Lo sanno benissimo gli attori e soprattutto i doppiatori. Lo sanno molto meglio dei musicisti, ai quali fin da piccoli le scuole e tanti maestri insegnano a suonare ma non ad ascoltare, e men che meno ad ascoltarsi. Ma lui, il silenzio, questo suono maestoso, insondabile, ineffabile continua, nonostante noi, a mantenere inalterato il suo fascino e la sua attrazione più che millenari. Che mistero…

Mauro Tabasso
da Nuovo Progetto maggio 06

 

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok