Le ragioni della pace

Pubblicato il 19-04-2023

di Redazione Sermig

Tracce di profezia
All’inizio di questo 2023 molto particolare, parlare di pace è ancora più importante. Stiamo vivendo un tempo in cui la pace appare un sogno, un ideale, un impegno che sembra quasi stridere con un mondo sempre più in guerra. Eppure, non dobbiamo stancarci. Ascoltiamo le parole del profeta Isaia che annuncia un tempo in cui le armi non saranno più costruite. Non parla solo di un tempo futuro, ma di un presente che ognuno di noi può già vivere e costruire. Abbiamo provato a cercare tracce di profezia anche nelle realtà più difficili.
Proviamo a ripercorrere insieme alcune testimonianze e suggestioni emerse durante il cenone del digiuno e la successiva marcia della pace, vissuta insieme alla Piccola Casa della Divina Provvidenza al Cottolengo.

La vita oltre la guerra
Quando le vittime della guerra sono i più deboli

Ad attenderci nella piazza principale ci sono diverse persone che attendono il cibo.
«I Russi hanno lasciato il controllo della zona da pochi giorni», dice uno dei ragazzi.
«Hanno svuotato le case da tutto quello che c’era dentro» un’altra signora poco più avanti.
«Siete italiani?»
«Sì»
«E siete venuti fin qui? Grazie, Dio vede tutto e vi benedice per quello che state facendo!» ci urla dietro un’anziana evidentemente commossa
È commovente la filiera di amore che parte dal cortile dell’Arsenale di Torino e attraversa mezza Europa.
Apriamo i portelloni dei furgoni e iniziamo ad aprire gli scatoloni e a preparare i pacchi spesa.
Un po’ di latte, pasta, riso, zucchero, scatolame, dolci, caramelle. Più o meno 10 kg a famiglia.
Si crea una fila composta e per certi versi interminabile.
Apro uno scatolone e trovo un sacco di cioccolato italiano.
Mi volto, due bambine si stringono alla gamba della mamma con tutta la forza che hanno, quasi a tenersi in piedi.
Mi avvicino e la bimba più grande mi guarda dritto negli occhi.
Da sotto la giacca tiro fuori due stecche di cioccolato. I suoi occhi si illuminano e il rumore del suo respiro stupito è un suono che sarà difficile da dimenticare.
Un’anziana signora che ha assistito a tutta la scena, sorridendo e con fare ironico mi dice: «E per me niente?».
Ci mettiamo tutti a ridere e consegno un pezzo di cioccolata anche a lei che con fare da bambina si mette a cullarla tra le braccia.
[Dal diario di Marco Maccarelli (Sermig) in Ucraina]

Pellegrino di pace e di perdono
L'intervento di Christian Carlassare, missionario comboniano, il più giovane vescovo del mondo

Prima del mio ferimento (avvenuto nell’aprile del 2021, ndr), speravo che il mio arrivo nella diocesi di Rumbek, in Sud Sudan, fosse un’occasione di pace e di riconciliazione. Penso sia stato comunque un segnale della situazione grave che il Sudan vive. Purtroppo la storia del Sudan è comune a quella di tanti Paesi in Africa, di tante guerre dimenticate. Le cause del conflitto sono sempre le stesse: lo sfruttamento delle risorse, la ricerca del potere all’interno dei vari gruppi etnici e politici, le liti fra gruppi familiari. E mentre manca il cibo, non mancano le armi, e così la guerra impedisce ciò che potrebbe portare sviluppo.
In questo contesto, penso che l’unica sorgente di riconciliazione sia il perdono che parte dal dialogo, dall’ascolto dell’altro, dal riconoscerci tutti mancanti. Come Chiesa ci appoggiamo anche noi in questo tempo difficile alla profezia di Isaia: «Ci sarà un tempo in cui le armi saranno trasformate in strumenti di lavoro». Io ci spero, perché vedo la speranza negli occhi di questi giovani, che soffrono un tasso di alfabetizzazione altissimo, la vedo negli occhi di tante mamme che hanno perso in guerra i loro mariti ma che continuano a crescere i figli, la vedo negli occhi di un popolo che continua a risorgere giorno dopo giorno, e la vedo soprattutto nella presenza dello Spirito di Dio, l’unica certezza che non ci abbandona mai.
Noi uomini possiamo cercare di aiutarci l’un l’altro a perdonare, ma l’unico che può donarcelo è il Signore. Sapendo che esso non può essere mai la decisione di un momento, ma è un cammino da gestire passo dopo passo, in una vita che diventi perdono.
Una mamma sudanese che ha perso due figli nella guerra a chi le ha chiesto «Ma se tu dovessi incontrare la persona che ha ucciso i tuoi figli, che faresti?», ha risposto: «Non la ucciderei. Già troppo sangue è stato versato, io non posso versarne altro anche io. Quello che è stato è stato, dobbiamo guardare avanti ed essere tutti più umani».

Testimonianze dal cortile
Fin dall’inizio della guerra in Ucraina l’Arsenale della pace ha visto scorrere un fiume di generosità: volti conosciuti, ma anche tante persone che si sono affacciate per la prima volta al portone. In tutte, il desiderio di contribuire in prima persona a costruire un tassello di pace. Istituzioni, parrocchie, associazioni, scuole, aziende e privati hanno organizzato raccolte di generi di prima necessità e ce li hanno portati. A questi si sono unite migliaia di persone che ogni giorno sono venute a selezionare, inscatolare, imbancalare e caricare sui tir. «Durante l'estate ogni giorno eravamo circa 300 volontari, con picchi di 500 nel fine settimana» raccontano i responsabili del Sermig che si occupavano di gestire i lavori nel cortile. I volontari si dividevano i compiti e ognuno aveva un suo ruolo. «Una delle cose che stupisce di più è la costanza con cui i volontari tornano. Arrivano e si sentono a casa loro».

Con gli occhi del domani
Se questo è stato l’anno della guerra, dobbiamo concentrare gli sforzi affinché il 2023 sia l’anno della fine delle ostilità, del silenzio delle armi, del fermarsi di questa disumana scia di sangue, di morti, di sofferenze.
La pace è parte fondativa dell’identità europea e, fin dall’inizio del conflitto, l’Europa cerca spiragli per raggiungerla nella giustizia e nella libertà.
La speranza di pace è fondata anche sul rifiuto di una visione che fa tornare indietro la storia, di un oscurantismo fuori dal tempo e dalla ragione. Si basa soprattutto sulla forza della libertà. Sulla volontà di affermare la civiltà dei diritti.
Qualcosa che è radicato nel cuore delle donne e degli uomini. Ancor più forte nelle nuove generazioni.
Lo testimoniano le giovani dell’Iran, con il loro coraggio. Le donne afghane che lottano per la loro libertà. Quei ragazzi russi, che sfidano la repressione per dire il loro no alla guerra.
So bene quanti italiani affrontano questi mesi con grandi preoccupazioni. L’inflazione, i costi dell’energia, le difficoltà di tante famiglie e imprese, l’aumento della povertà e del bisogno.
È necessario uno sguardo d’orizzonte, una visione del futuro.
Pensiamo alle nuove tecnologie, ai risultati straordinari della ricerca scientifica, della medicina, alle nuove frontiere dello spazio, alle esplorazioni sottomarine. Scenari impensabili fino a pochi anni fa e ora davanti a noi.
Sfide globali, sempre.
Perché è la modernità, con il suo continuo cambiamento, a essere globale.
Ed è in questo scenario, per larghi versi inedito, che misuriamo il valore e l’attualità delle nostre scelte strategiche: l’Europa, la scelta occidentale, le nostre alleanze. La nostra primaria responsabilità nell’area che definiamo Mediterraneo allargato. Il nostro rapporto privilegiato con l’Africa.
Dobbiamo stare dentro il nostro tempo, non in quello passato, con intelligenza e passione.
Per farlo dobbiamo cambiare lo sguardo con cui interpretiamo la realtà. Dobbiamo imparare a leggere il presente con gli occhi di domani.
La sfida è progettare il domani con coraggio.
Guardiamo al domani con uno sguardo nuovo. Guardiamo al domani con gli occhi dei giovani. Guardiamo i loro volti, raccogliamo le loro speranze. Facciamole nostre.
Facciamo sì che il futuro delle giovani generazioni non sia soltanto quel che resta del presente ma sia il frutto di un esercizio di coscienza da parte nostra. Sfuggendo la pretesa di scegliere per loro, di condizionarne il percorso.
La Repubblica vive della partecipazione di tutti.
È questo il senso della libertà garantita dalla nostra democrazia.
È anzitutto questa la ragione per cui abbiamo fiducia.
[Sergio Mattarella, 31 dicembre 2022]

Con i giovani un anno nuovo
Fermiamoci per un istante davanti alla storia dell’umanità. Facciamoci una domanda: le armi a cosa sono servite? Ad uccidere, a creare desiderio di vendetta, a costruire altre armi per alimentare altre mille e mille guerre… Al di là delle contingenze e della complessità del presente, dobbiamo avere il coraggio di dire: “Basta armi!”. Ma il cambiamento deve partire prima di tutto da una riconversione personale. A tutti i livelli.
Lo chiediamo ad ognuno di noi, ma anche al mondo della politica, dell’economia, della cultura. Ripartiamo dalla pace, oggi più che mai una scelta. Sì, una scelta del cuore e dell’intelligenza.
Se i giovani dicono sì alla pace, allora ci sarà veramente una nuova era.
Ed io sono convinto che tanti giovani oggi abbiano un appuntamento con la pace.
L'anno nuovo sta per arrivare e già sa di vecchio. Ma io sogno un pugno di giovani che si convertano al Sì che diventino indomabili contro il male che sappiano lottare con nonviolenza perché la pace possa abitare in mezzo a noi. Giovani nuovi per un anno tutto nuovo.
[Ernesto Olivero]

#credo alla pace…
Le risposte dei ragazzi durante la marcia

#perché la pace non sta mai ferma, si muove e mi fa muovere.
#perché la bontà è disarmante! E la pace mi ha convinta a vivere da disarmata.
#perché è un'esigenza profonda di ogni cuore.
#perché la pace costruisce e non distrugge.
#perché è la speranza che mi fa vivere e vedere la realtà con occhi nuovi.
#perché crederci è il primo passo per raggiungerla e costruirla.
#perché l'amore genera amore, e nell'amore tu non puoi stare male.
#perché è l'unica soluzione possibile affinché ci sia ancora un futuro.
#perché l’altro non è mai un nemico, è un uomo come me, con le sue gioie e i suoi dolori e ha diritto al mio rispetto.


A cura della Redazione
NP gennaio 2023

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