La regola aurea

Pubblicato il 02-05-2023

di Gabriella Delpero

Mi sembra particolarmente urgente oggi riflettere a fondo sul nostro modo di pensare l’aggressività. È sotto gli occhi di tutti il fatto che viviamo in una società e in un tempo caratterizzati da un diffuso e profondo malessere, che troppo spesso sfocia in atteggiamenti e azioni intrisi di maleducazione, prepotenza, sopraffazione, spietatezza, fino ad arrivare alla vera e propria violenza, verbale e fisica. E non mi riferisco certo ai numerosi episodi di cronaca nera che occupano le principali pagine di quotidiani e notiziari, ma molto più semplicemente a ciò che vediamo affiorare continuamente nel linguaggio, nei comportamenti, nelle relazioni sociali e interpersonali di ciascuno di noi. Certo il termine aggressività non è facile da definire perché comprende una pluralità di significati e può descrivere fenomeni molto diversi l’uno dall’altro: è uno di quei sostantivi che possono anche essere chiamati parole valigie in quanto spaziano dall’estremamente negativo al quasi positivo.

C’è per esempio un’aggressività intesa come mezzo per raggiungere obiettivi importanti o superare ostacoli (quindi quasi sinonimo di intraprendenza, vitalità, riuscita o successo), ma c’è certamente un’aggressività distruttiva, che sfocia in atti di aggressione e violenza e deriva da radicati sentimenti di rabbia e dalla esplicita volontà di infliggere agli altri danno e dolore. Ma cosa c’è all’origine di quest’aggressività distruttiva? Spesso si sente dire che va individuata nel fatto che la convivenza quotidiana tra noi esseri umani è oggi “avvelenata” da una dose di maleducazione e mancanza di rispetto sconosciute fino a non molto tempo fa. E dalla maleducazione all’aggressività (soprattutto verbale) il passo è davvero breve. In realtà questa spiegazione non convince del tutto, perché il passato – anche recente – non è detto che sia per definizione sempre meglio del presente. Infatti, sotto il profilo dei comportamenti il progresso umano certamente esiste e nel frattempo ha continuato a fare passi avanti, ma procede a sbalzi, non è una specie di linea retta in costante ascesa. Così possiamo da una parte affermare che l’aggressività di oggi è in certi casi poca cosa in confronto a quella di alcune epoche del passato, basta pensare alle grandi tragedie del Novecento. Nello stesso tempo è altrettanto vero che nei nostri comportamenti e nelle nostre relazioni umane quotidiane manca qualcosa di cui avvertivamo maggiormente l’importanza qualche tempo fa: scarseggiano la reciprocità e il senso di comunità. Regna sovrano ovunque un individualismo esasperato: ognuno mette al primo posto se stesso, la propria realizzazione, il proprio benessere, il proprio successo. Ed è a tutto questo che sono fondamentalmente educati oggi troppi dei nostri bambini e dei nostri giovani: a pensare innanzitutto a se stessi e al proprio interesse personale. La conseguenza è la precarietà dei legami con gli altri, che vengono avvertiti come temporanei e sono spesso vissuti in modo strumentale. Ciò che conta è la prestazione personale, il ruolo, l’immagine esibita. Non c’è coscienza del proprio essere persone incompiute, bisognose degli altri, della loro vicinanza e delle loro attenzioni, così come gli altri, tutti gli altri, attendono a loro volta la stessa vicinanza e attenzione.

Da qui allo sfilacciamento progressivo di un’intera società il passo è tragicamente breve. Alla fine, potremmo ridurci a essere una massa di estranei in perenne competizione tra loro, le cui relazioni sono appunto caratterizzate da un alto tasso di aggressività reciproca. Occorre una decisa inversione di marcia, soprattutto da parte di chi riveste un ruolo educativo nei confronti delle nuove generazioni ed ha quindi una grande responsabilità verso il futuro delle nostre società. Forse basterebbe tornare a declinare in qualche modo anche oggi l’antica regola aurea: «Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te».


Gabriella Delpero
NP febbraio 2023

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