La cultura fa la differenza
Pubblicato il 31-05-2023
Secondo la definizione elaborata dall’ Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti Umani (ODIHR) dell’ Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), il “crimine d’odio” (hate crime) è un reato, commesso contro un individuo e/o beni a esso associati, motivato da un pregiudizio che l’autore nutre nei confronti della vittima, in ragione di una “caratteristica protetta” di quest’ultima. Tra queste caratteristiche protette vi è l’origine etnica, la religione, la nazionalità, l’orientamento sessuale, l’identità di genere e la disabilità.
Negli Stati Uniti, il 2021 è stato un anno particolarmente violento: i crimini motivati da pregiudizi contro gli asiatici sono più che triplicati, mentre gli incidenti di natura antisemita hanno raggiunto il massimo storico. In Europa, l'afflusso di rifugiati negli anni 2010 ha scatenato un'ondata di attacchi contro i rifugiati e contro i musulmani. Anche la violenza contro i membri delle comunità LGBTQ rimane una preoccupazione globale urgente. Secondo Amnesty International, in dieci anni, i crimini d’odio registrati in Italia sono esplosi, passando da 134 a 1119 nel 2019, dei quali oltre il 70% avvengono per motivi razziali e religiosi. Inoltre, dal momento che molti di questi crimini non vengono denunciati, queste statistiche rappresentano una sottostima di fenomeno ben più pervasivo.
Gli atti di violenza basati sull'odio persistono nonostante l'aumento della criminalizzazione. Uno dei motivi di questa persistenza potrebbe essere il diffuso sostegno che questi crimini riscuotono tra i cittadini, benché non siano essi stessi i perpetratori. L'ambiente sociale, infatti, invia messaggi forti su quali comportamenti sono accettabili e desiderabili. Laddove gli atteggiamenti nei confronti dei crimini di odio sono permissivi, gli autori di reato possono credere di agire per conto della loro comunità, da cui possono persino ricevere delle “ricompense sociali”. Un recente articolo scientifico pubblicato sulla prestigiosa rivista PNAS, sostiene che la connessione tra il sostegno della comunità e l'incidenza dei crimini di odio potrebbe spiegare perché la maggior parte dei crimini di odio è commessa da comuni cittadini, che non presentano profili psicologici devianti o appartengono a gruppi organizzati.
L’autore dell’articolo ha condotto sondaggi online per valutare il sostegno ai crimini d'odio contro i rifugiati e le conseguenze politiche di questo sostegno. Lo studio è stato condotto in Germania su campioni rappresentativi a livello nazionale tra il 2016 e il 2017. Ci sono tre risultati importanti che vale la pena riportare. Innanzitutto, il gruppo dei sostenitori dei crimini d’odio è ampio: tra il 14% e il 19% dei rispondenti approva i crimini ispirati dall'odio e questo sostegno è più che doppio in alcuni sottogruppi. Il sostegno della comunità va ben oltre il tipico profilo di “giovane aggressore maschio”, abbracciando popolazioni di età, redditi e generi diversi. Mentre altre ricerche documentano che gli autori di reati di odio sono quasi esclusivamente uomini giovani e spesso di basso livello socioeconomico, questo studio mostra che la base di supporto per questi crimini è molto più ampia: quasi la metà dei sostenitori di reati di odio sono donne (47%) e ben oltre la metà (58%) sono persone adulte e anziane (40 anni e oltre) ed economicamente sicure.
Il profilo dei sostenitori dei crimini d'odio è molto più ampio, quindi, del profilo degli autori di questi reati. La discrepanza è particolarmente evidente rispetto al genere. Sebbene quasi nessuna donna sia coinvolta in crimini d'odio, stando a questi risultati, molte rispondenti li sostengono comunque: trattando i crimini d'odio come un problema esclusivamente maschile, quindi, si rischia di mancare il bersaglio. Un'altra notevole divergenza riguarda l'età: il sostegno ai crimini d'odio non è “un errore di gioventù”. Gli intervistati di mezza età (40-49 anni) hanno la stessa probabilità di approvare i reati d'odio quanto i più giovani (dai 18-29 anni), con i più propensi ad approvarli tra i 30 e i 39 anni. Sorprendentemente, il sostegno ai crimini d'odio non sembra variare molto con il reddito, mentre emergono notevoli differenze per livello di istruzione: gli intervistasti con meno anni di istruzione sono significativamente più propensi a supportare reati di odio.
Interventi più efficaci per ridurre episodi di violenza dovrebbero quindi mirare non solo al singolo perpetratore, ma agire, in modo preventivo, sulla (sua) comunità di riferimento.
Perluigi Conzo
NP marzo 2023