La coda avvelenata
Pubblicato il 03-05-2023
Il Covid, per fortuna, sta passando ma la “coda” che lascia è avvelenata ed è una mistura di altre pandemie: i “pronto soccorso” disastrati, la carenza di medici, il cancro esploso perché non scoperto per tempo negli anni dei lockdown, le medicine che scarseggiano, la medicina territoriale, ancora molto spesso un fiume di parole nonostante migliaia di visite dei medici di famiglia.
I “pronto” sono tutti in affanno: le attese sono lunghe, estenuanti, incredibili, nonostante la passione e la missione di medici e infermieri. Ma arrivare alle 8 e passare, nella migliore delle ipotesi, dopo le 14 è la consuetudine. Mancano medici e infermieri che bissano anche i turni per farcela, ma non basta. E non saranno certo i “gettonisti” a sanare la situazione. Bisognerà pagare meglio i sanitari e proteggerli dalle aggressioni fisiche, sempre più violente, e da quelle giudiziarie. Certo, il numero sempre più chiuso per le iscrizioni alla facoltà di medicina non è la strada.
Le liste d’attesa non sono degne di un Paese civile. Ho prenotato un esame di prevenzione in questi giorni, passerò a novembre 2023 (sic!). E che dire degli esami per arginare le varie forme di tumore? Si è indietro di mesi e intanto i morti di cancro aumentano. Alcuni primari sostengono che la vera pandemia, ora, è il cancro. Non credo sia proprio così, ma certo la situazione è grave. E non parliamo degli interventi: si fanno, con grandi sacrifici, quelli urgenti. Gli altri “sono di là da venire” perché anche le strutture private sono intasate.
Così, sostengono molti esperti, al di là degli slogan e di proposte che sfiorano il surreale, la riorganizzazione del sistema sanitario continua a essere un tema non affrontato seriamente nell’agenda politica nazionale, né in quella delle diverse regioni, lasciando al buio i cittadini su come si farà a uscire dalla profonda crisi attuale e su quale sarà il futuro della sanità nazionale di domani.
L’emergenza-urgenza ha bisogno di professionisti sanitari, formati e certificati, per garantire ai cittadini le migliori prestazioni, con la massima competenza professionale e tempestività di esecuzione dei percorsi di cura. Oggi, la qualità dei servizi dell’emergenza sanitaria è affidata interamente allo spirito di sacrificio degli operatori: a chi sceglie la specialità, si chiede di essere pronti a turni pesantissimi, fino all’età della pensione, di avere impegnati almeno due-tre week end al mese, di non poter svolgere la libera professione, con stipendi molto meno appetibili rispetto a tutti gli altri specialisti. Tutto questo senza il riconoscimento di un’attività disagiata e con la speranza di non essere aggrediti durante lo svolgimento del proprio lavoro (gli operatori del pronto soccorso sono sicuramente i più a rischio).
Le medicine? Da noi ne scarseggiano almeno dieci per adulti e bimbi. Che cosa è successo? Nelle favelas ho visto distribuire specialità anche scadute, ma non siamo nei sobborghi di Rio De Janeiro.
Sanità a rischio bancarotta. Lo scrivono le Regioni al ministro. Potrebbero esserci conseguenze catastrofiche.
Anziani soli. Il 64% dei ricoveri negli ospedali si protrae perché gli anziani non sanno dove andare: nessuno a casa, RSA troppo care, solitudine. La tempesta perfetta c’è stata, restano le macerie.
Gian Mario Ricciardi
NP febbraio 2023